L’ideazione di un sistema resistente è atto creativo

La Forza Lavoro di Marzia Migliora

Lo scorso 18 Febbraio la galleria Lia Rumma ha inaugurato a Milano la personale di Marzia Migliora, Forza Lavoro. All’ingresso della galleria un breve testo introduce il visitatore all’immaginario dell’esposizione e alla figura inerme del Palazzo del Lavoro a Torino, disegnato da Pierluigi Nervi nel 1961. Questo edificio, concepito come un segno glorioso della rinascita italiana del dopoguerra, appare oggi spettrale e abbandonato dopo un incendio che nel 2015 ne ha segnato la fine e la futura trasformazione dei suoi 47000 metri quadrati in un centro commerciale di lusso. La Migliora più che intenzionata a dare nuova vita o parola al palazzo, sembra eseguire un’autopsia dello spirito che lo animava. La serie di fotografie In the Country of Last Things, catturate con dispositivi a foro stenopeico, realizzati con materiali di scarto dell’edificio, sono scattate con lunghissimi tempi di esposizione quasi a voler carpire il passaggio dei fantasmi di un tempo. Le macchine stenopeiche riciclate sono un monito alle infinite possibilità della materia e alla necessità di conservazione di un patrimonio sociale. All’opposto, i monocromi posti nella stessa sala, neri di cenere e carbone del recente incendio, contrastano l’immaterialità delle fotografie con una rappresentazione compressa del degrado e della desolazione.

Le opere esposte alla Galleria Lia Rumma sono capaci di elevarsi da una produzione e da tematiche provinciali trovando una dimensione internazionale anche grazie a citazioni implicite ed esplicite. Nel video Vita Activa, filmato all’interno del Palazzo del Lavoro, la citazione della Arendt dà sostanza a una serie di gesti e movimenti che richiamano l’attività lavorativa, gesti apparentemente vuoti e senza scopo, come può essere il lavoro se distorto e improntato al mero consumo. Questi gesti ripetitivi, il cui unico prodotto è l’eco di un suono che si diffonde per tutto il Palazzo, rievocano la ricerca di Joan Jonas in opere come Song Delay del 1973, in cui suono e video perdono fluidità nella ripetizione dell’atto performativo.Senza-nome1.jpg
Ma la citazione di Vita Activa ricorda ancora un senso di collettività perduta e l’importanza dello spazio pubblico come luogo di espressione e mediazione, contrapponendosi al futuro utilizzo commerciale e gentrificato dell’edificio. Lo spazio pubblico è per la Arendt strumento principe delle democrazie moderne, dove le istanze dell’individuo diventano un’istanza del pubblico, dove si fonda un sistema di condivisione di valori. Così, alla base di tutto troviamo l’installazione L’ideazione di un sistema resistente è atto creativo, riproduzione 1:1 della struttura portante del solaio a nervature isostatiche del Palazzo realizzata in mattoni di carbone compresso. Le linee di tensione della struttura sono portanti e sorreggono il peso del sistema come un’istituzione, creata teoricamente per sopravvivere a chi la abita e sfrutta. L’utilizzo del carbone compresso richiama i Monocromi neri, ricordando l’intrinseca anomalia funzionale di un sistema ancora basato sulla produzione di energia tramite combustibili fossili.

Forza lavoro è una mostra dotata di una metanarrativa intrinseca al nostro paese, fatta di abbandono e valori, resistenza e oblio. Le opere di Marzia Migliora sono un monito per l’incuria che la Repubblica riserva a ciò su cui si fonda: il lavoro, elemento che non a caso è nevralgico nella produzione di un’artista votata alla fatica e alla cura della ricerca. È quindi con coerenza e affetto che la Migliora ci introduce a questa decadenza, l’affetto di chi assiste alla fine di un luogo simbolo della città in cui vive e produce le sue opere. Ma è quando l’artista chiede al violoncellista Francesco Dillon di accompagnare Vita Activa con il Requiem in Re minore di Mozart che comprendiamo come la celebrazione della memoria sia capace di elevarsi sull’amarezza dell’abbandono, lasciando lo spettatore con la speranza che in futuro il ricordo del valore sia in grado di trascendere il luogo del quale è stato espropriato.

Marco Minicucci

Courtesy e fotocredit: Galleria Lia Rumma