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Noi non siamo il Corriere della Sera

La famigerata febbre di Charlie Hebdo, di cui vi abbiamo parlato ieri, colpisce ancora.
E stavolta non affligge solo caotiche folle indistinte e indistinguibili di lettori ben decisi a difendere la libertà di stampa e il loro diritto di esprimersi liberamente.
Il contagio stavolta serpeggia per Milano, s’insinua fino in via S. Marco, entra al numero 21 per il portone principale e infine si spande per tutta la redazione del Corriere della Sera. Lì infatti il 14 gennaio, a sette giorni esatti dalla strage di Charlie Hebdo, Paolo Rastelli, evidentemente colpito in forma grave dal nuovo terribile virus, firmava un articolo in cui si annunciava che il “gesto concreto” del Corriere in favore della rivista satirica sarebbe stata la pubblicazione di molte delle vignette prodotte dagli illustratori europei – le cosiddette libere matite – in un volume il cui ricavato sarebbe andato alla decimata redazione francese.
Nessun dettaglio su come sarebbero state selezionate le opere che avrebbero dovuto riempire le oltre 300 pagine della speciale edizione benefica; veniva solo specificato che sarebbero state scelte tra quelle circolate in rete negli ultimi giorni.
Bene, bravi! E’ bello sapere che una delle maggiori testate italiane non si limita a osservare e riportare passivamente le notizie ma si fa anche veicolo di approfondimento e contestualizzazione culturale, oltre che strumento benefico. Bisogna essere felici che il Fatto non sia lasciato solo nella difficile operazione di far comprendere al pubblico cisalpino quale sia la concezione, l’importanza, e il gusto della satira in Francia. Dopo la proposta indecente (e per di più totalmente improvvisata sul momento, direi quasi campata su Twitter) di Daniela Santanchè, chiunque si proponga di contribuire alla causa sia il benvenuto!

E invece purtroppo no.
L’articolo infatti taceva due informazioni piuttosto rilevanti: innanzitutto la bassa risoluzione delle stampe, di scarsa quando non scarsissima qualità – ma in fondo, siccome quello che conta di questa iniziativa sono in primo luogo i contenuti, l’appagamento coloristico dei pixel può essere messo in secondo piano, sopratutto con poco tempo a disposizione per la stampa e la raccolta dei materiali.. Già, la raccolta dei materiali.
Il secondo argomento taciuto da Rastelli era proprio questo. Nessuno aveva avvertito i lettori che le vignette sarebbero state utilizzate senza il consenso degli autori; a farlo presente con le loro lettere aperte al giornale milanese sono stati gli stessi artisti, tra cui Giacomo Bevilacqua e Roberto Recchioni.
Se potevamo ben aspettarci una simile mancanza di rispetto da parte di Visibilia, la casa editrice della Santanchè, è sconcertante constatare che anche un’azienda “seria” e quotata come RCS MediaGroup, la holding del Corriere, manifesti apertamente lo stesso pressappochista disinteresse per la dignità del lavoro artistico e per i diritti di chi lo crea. In un’occasione che, per di più, aveva tutte le premesse per essere un interessante momento di confronto tra web e editoria sul tema così sensibile della libertà d’espressione.

A quanto pare però l’unica cosa che interessa è ancora una volta il guadagno e la visibilità, per la quale non si esita a sfruttare in maniera strumentale e orrendamente cinica una tragedia come la strage di Charlie Hebdo.
Ma d’altronde che il Corriere fosse sordo alla voce della rete e completamente assorbito dal suo anacronistico mondo di carta stampata, lo si era già capito quando Severgnini operava su quelle pagine la pretestuosa distinzione tra libertà maiuscole e libertà minuscole, nel puerile tentativo di giustificare l’odiosa scelta di censurare i commenti sul proprio sito web. Dov’era allora la libertà d’espressione di cui adesso questi signori si fanno paladini e si sciacquano ben bene la bocca? D’altronde, armati delle vignette altrui siamo buoni tutti.

Ma sperando ancora ingenuamente che dietro a questa bieca operazione di marketing camuffato da solidarietà e senso civico ci sia qualche residuo di moralità superstite, faccio una breve ricerca su internet.
Ora, in calce all’articolo di Rastelli, si legge:

Post Scriptum (dopo le polemiche): Il ricavato di questa operazione, è bene ribadirlo, sarà devoluto interamente a favore delle vittime della strage e del giornale Charlie Hebdo. Aspettare di avere l’assenso formale di tutti gli autori, a nostro giudizio, avrebbe rallentato in maniera sensibile l’operazione. Comunque sul libro, in quarta pagina, c’è scritto con chiarezza che «l’editore dichiara la propria disponibilità verso gli aventi diritto che non fosse riuscito a reperire»

E ancora sotto:
© RIPRODUZIONE RISERVATA

E’ proprio il caso di dirlo, forte e chiaro:

NonSonoIlCorSera

disegno di Leo Ortolani

Giulio Bellotto

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Qualche considerazione esistenziale

In ogni momento della sua esistenza l’uomo sperimenta una condizione ben precisa, comune a tutti i suoi simili.
Ciò perché in quanto animale l’essere umano è necessariamente in relazione con un’ecosistema di cui fa parte; ma come creatura sociale nessuno di noi può esimersi dall’essere interdipendente da altri uomini, quindi aderiamo per scelta ad un’organizzazione comunitaria con cui nascendo stipuliamo un primordiale contratto sociale. Siamo parte di un sistema che determina la nostra cultura e ci instilla credenze e pregiudizi radicati come chiodi nel legno. Siamo legati ad un corpo fisico, ai beni materiali che possediamo; siamo connessi, o per meglio dire multi-connessi, ad una moltitudine di devices elettronici da cui riceviamo senza sosta input e stimoli. Condividiamo pensieri ed emozioni in una rete di informazioni che racchiude praticamente ogni aspetto quotidiano delle nostre vite.

Un’espressione, usata in una sit-com dallo spropositato successo (un vero e proprio prodotto culturale di questo decennio), descrive piuttosto bene lo stato in cui ci troviamo tutti noi: siamo legati ad altri oggetti su un piano inclinato elicoidalmente avvitato attorno ad un asse.
Il nostro punto di partenza risiede in questa metafora, così squisitamente scientifica ed asettica da essere adattissima a questi tempi in cui il puro sapere tecnico ha scalzato il metodo umanistico e ogni cosa è talmente sterile da essere diventata virtuale. Prendiamo atto che siamo incastrati, insomma.

Ma di questa bizzarra e inevitabile situazione qui ci interessa sopratutto la dimensione esistenziale, ovvero quella sensazione strisciante e un po’ viscida che Molly Sprayregen descrive in un recente articolo diventato ben presto virale. Questa sensazione noi la chiamiamo Bloggo: tutto ciò che è di impedimento al nostro cammino personale, professionale, intellettuale e culturale, ogni cosa ostacoli la nostra crescita. A volte, noi stessi impersoniamo questo sgradevole ruolo.
Il Bloggo è quindi l’Impedimento adottato come stile di vita, l’Ostacolo divenuto abitudine. A questo punto, nonostante l’imperante neo-scientismo economico e i poteri divini del wi-fi, solo sfogliando il Castiglioni-Mariotti ci si può accorgere di una curiosa coincidenza: entrambi questi lemmi derivano dal latino. Quel che ricordiamo del liceo ci basta ad osservare che  “impedire”, composto di “pes” cioè “piede”, letteralmente significa “legare i piedi” mentre “ostacolo” da “obstare” è “stare innanzi”.
Così una lingua morta ci parla, con grande sintesi concettuale, del nostro presente e di un cammino verso il futuro che si fa sempre più accidentato e difficoltoso vuoi per via delle catene di aspettative, paure, crisi economiche e sentimentali, vuoi perché ogni obbiettivo, diplomi lauree relazioni nuove case o nuovi impieghi, rimangono sempre di fronte a noi, appena oltre la barriera della perfezione possibile ma pur sempre fuori dalla nostra portata, dovremo attendere ancora..

In quest’accezione il Bloggo è sia una gabbia che un labirinto, in cui ripercorrere strade già battute da altri non è più una sicurezza di riuscita ma un pericoloso metro di paragone che si fa giudizio di noi stessi e degli altri. Molte di queste realtà, tante di queste gabbie creano un clima culturale tutt’altro che fertile in cui il fallimento di ogni progettualità è la logica conseguenza della mancanza di idee e di prospettive nella paradossale abbondanza di mezzi per esprimersi.
Internet è l’esempio perfetto della potenzialità addirittura eccessiva di cui la contemporaneità dispone: lo sviluppo della rete intesa come immediato collegamento di dati sensibili (perfino secretati ai tempi di ARPANET) non ha portato allo sviluppo di quell’enciclopedia globale teorizzata dal pionere dell’informatica Richard Stallman; la rete ha finito per diventare una trappola online in cui i contenuti sono diluiti da sciocchezze, errori o veri e propri nulla mascherati da una grafica accattivante.
Il World Wide Web è, in generale, un deserto in cui è più facile perdersi passando da link a banner a siti a domini e così via piuttosto che trovare un’oasi in cui riprendere fiato.

Per quanto ci riguarda, noi non ci stiamo. E allora abbiamo deciso di fare un bel respiro e aprire questo blog, un po’ per sfida un po’ per scherzo e un po’ per sbloggare la situazione.
E però sappiatelo, è un blog culturale. Qualsiasi cosa ciò voglia dire – secondo noi significa che ci si può parlare di tutto, ma nel modo giusto.
Ed è un blog che anche voi potete costruire con i vostri commenti o proponendoci argomenti e articoli.
Dunque godetevelo, questo Bloggo culturale, perché alla fine ammettiamolo, a volte bloggarsi può anche essere un conforto.

Il Bloggo