mago di oz

Cervello, definisci Libertà

In quarta elementare la mia maestra ispirata dal mago di Oz organizzò un dibattito se fosse meglio il cuore o il cervello dividendoci nelle due fazioni. La divisione risultò assolutamente iniqua; evidentemente nessun bambino di 9-10 anni pensa che il cervello sia più importante del cuore, oppure preferisce di gran lunga l’uomo di latta allo spaventapasseri. Io però scelsi il cervello e ricordo che la mia argomentazione era che senza non avremmo potuto distinguere un bambino da un cagnolino. Alla fine arrivò la chiesa cattolica a rovinare la festa con un volantino recante la frase “Accogli Gesù nel tuo cuore“, così alla fine vinse il cuore. Adesso però sono al secondo anno di università, ho potuto approfondire quella che era soltanto un’intuizione infantile tanto che mi sembra molto più facile trovare punti a favore del cervello rispetto al cuore, alla fine è solo un organo vitale qualsiasi.

In termini più tecnici possiamo dire che il cervello è il nucleo del nostro essere umani, il centro delle nostre capacità cognitive e tra queste la più complessa e misteriosa è senza dubbio la coscienza. Prima di tutto occorre definire il significato di coscienza, che è molteplice e si compone di tre aspetti principali: lo stato di veglia, la consapevolezza del mondo circostante e l’autoconsapevolezza. Diversi studiosi si sono interessati a questo tema e se prima la coscienza era confinata all’ambito filosofico, ora grazie a tecnologie sempre più sofisticate si cercano fondamenti empirici consistenti. E’ possibile far risalire l’inizio del dibattito sulla coscienza su quello che Marcel Gauchet definisce “inconscio cerebrale” alle scoperte fisiologiche della seconda metà del 1800, le quali approfondirono il funzionamento del sistema nervoso e dei comportamenti riflessi. Un dibattito interessante avvenne intorno al 1853 tra Plfüger e Lotze: il primo sostenne che il cervello non può essere l’unico organo che sottende alle funzioni di coscienza, secondo il suo pensiero quest’ultima è movimento e si trova ovunque ci sia sostanza nervosa; Lotze invece fu sostenitore della “omniassenza” della coscienza non solo negli atti motori e riflessi, ma anche nelle attività intellettive. Un passo in avanti in questo senso viene mosso dallo studioso fisiologo Schiff, il quale riprendendo la filosofia di Fichte, cerca un’assimilazione dell’io con il corpo e sostiene che la discriminazione tra mondo esterno, al quale attribuiamo una realtà oggettiva, e mondo del pensiero, al quale attribuiamo un’esistenza soggettiva, non è acquisita ma costruita. Questo ragionamento è importante perché avvia la concezione dell’individualità legata alla sensazione e al corpo.

9015Il nuovo modello di funzionamento cerebrale ha aperto l’indagine verso la parte inconscia del cervello umano, rivoluzionando anche la rappresentazione classica del soggetto cosciente e del suo potere volontario. Il libero arbitrio sembra essere un unicum umano, quindi è forse la caratteristica che più ci descrive e ci caratterizza come uomini. Il problema più grande nella convinzione che esista effettivamente libero arbitrio sta nell’implicazione che, se così fosse, almeno alcuni aspetti del pensiero e dei nostri comportamenti siano guidati da un’entità indipendente dalle cause dei comportamenti stessi. Chissà che quest’elemento indipendente non sia proprio il cuore, il che sarebbe una bella beffa. Esistono però diversi studi che sembrano minare le nostre certezze di poter scegliere come agire volontariamente; ad esempio gli studi di pianificazione motoria di Libet, il quale grazie all’elettroencefalogramma ha scoperto che l’intenzione di compiere un movimento precede chiaramente la consapevolezza del soggetto, quindi non può causare il movimento stesso. Questo mi ricorda quello che dice Nietzsche all’inizio di Al di là del bene e del male, cioè che un pensiero viene quando esso vuole e non quando lo vuole il pensatore, cosicché il consenso della coscienza è in qualche modo subordinato al consenso dell’organismo.

Uno studio ancora più sorprendente è quello genetico di Caspi, dal quale si evince che i soggetti con genotipo Low-MAOA esposti a maltrattamenti in età infantile hanno un rischio 3 volte maggiore dei soggetti High-MAOA esposti anch’essi a maltrattamenti e quasi 5 volte maggiore dei High-MAOA non maltrattati di sviluppare comportamento antisociale. la risonanza magnetica ha dimostrato che individui maschi con l’allele a bassa attività del gene MAOA avevano una riduzione dell’8% del volume dell’amigdala, del cingolo anteriore e della corteccia orbitofrontale (Meyer-Lindenberg et al. 2006). Queste strutture cerebrali rivestono un ruolo fondamentale nella risposta a stimoli emotivi e nella modulazione del comportamento e dell’aggressività. Da questi studi si deduce che una certa composizione allelica determini una maggiore probabilità di mettere in atto determinati comportamenti, però è importante non dimenticare che in questi studi si parla di predisposizione e di rischio, perciò è necessario considerare anche una molteplicità di altre influenze ambientali e culturali oltre che genetiche. Una delle possibili conseguenze può essere quella di attribuire meno responsabilità alle nostre azioni, per questo motivo la coscienza come stato fisiologico è un argomento molto delicato. Alla luce degli studi condotti non esiste alcuna correlazione causale tra un certo tipo di comportamento e una determinata sequenza di geni. ciò non toglie che gli studi della genetica comportamentale abbiano aperto una seria riflessione sul concetto di responsabilità, che già trova le prime applicazioni. Ad esempio in ambito forense la corte d’Appello di Trieste, per la prima volta in Europa, ha considerato per decretare la colpevolezza dell’imputato anche la sua valutazione genetica insieme a quella psichiatrica e ha concluso che l’imputato avesse una capacità di intendere e di volere compromessa. Sarebbe sbagliato in questo caso gridare allo scandalo e quello che hanno scritto alcune testate giornalistiche,«Non è colpa mia, è colpa dei miei geni», non rispecchia il vero risultato della perizia.

Oggi lo studio dei complessi rapporti tra geni e ambiente si avvale di strumenti nuovi ed è così auspicabile che questi studi possano portare ad una più approfondita conoscenza dei meccanismi che sono alla base delle nostre funzioni mentali, compresa la capacità di intendere e di volere. Ma rimane comunque difficile rispondere alla domanda su cosa sia realmente la coscienza e se esista davvero libero arbitrio, che sembra sempre più legato ad una credenza che non alle evidenze della funzionalità cerebrale. Eppure sembra una prospettiva inquietante pensare che tutto quello che siamo e che agiamo sia riconducibile ad un sistema di connessioni sinaptiche, le cui scariche sono determinate da sequenze casuali di geni. Ironia della sorte, se prima era la religione a condizionare il nostro potere di decisione e libero arbitrio, adesso è la scienza con il suo automatismo perfetto. Gli studi fisiologici ci hanno resi diffidenti nei confronti delle illusioni dell’io e di ciò che pensiamo di possedere, come direbbe il filosofo nichilista “Non si sente fino a che punto siamo profondamente sconosciuti ed estranei a noi stessi“.

Valentina Villa

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