Nel nostro Paese c’è una strana comunanza di questi tre elementi, i film in dvd, i pan di stelle e lo Stato; il loro accostamento si basa su un ragionamento che voglio proporvi nella maniera più limpida possibile.
Fatevi innanzitutto questa semplice domanda: perché mai si dovrebbe comprare o noleggiare un film in DVD – o scaricarlo a pagamento – invece che guardarselo in streaming?
La risposta è altrettanto semplice, a ben pensarci: per rispetto nei confronti di chi ha lavorato per portare a termine un’opera mastodontica qual è quella della creazione di un lungometraggio, ad esempio. Per non rubare il suo lavoro e al tempo stesso, per riconoscerne la dignità.
Che l’apprezzamento ad un’opera d’arte si misuri in denaro, è una dura ma ineluttabile realtà. Finché qualcuno non si inventa un altro sistema economico, quello vigente è basato sul denaro. Si paga per tutto, perché non si dovrebbe pagare per guardare un film?
C’è da dire che alcune pellicole su SKY e su iTunes non ci sono e che le più datate non si trovano neanche nei pochi videonoleggi sopravvissuti (a Milano mi viene in mente solo Videobrera); ma la maggior parte dei film sono disponibili a pagamento.
Questo è però un tema piuttosto complesso che tira in causa molte variabili come il progresso tecnologico, il momento di crisi dell’industria cinematografica internazionale, la mentalità delle nuove generazioni e il loro rapportarsi al cinema, ecc. Ma non è questo il mio punto.
Quello che più mi preme affermare in questa sede è che si può decidere di comprare/noleggiare film e di andare al cinema anche se per molti nostri conoscenti polentoni è più comodo scaricarseli e guardarseli a casa. Sono loro che si perdono qualcosa. In realtà, purtroppo, in Italia anche i cinefili si perdono qualcosa, in attesa che arrivi Netflix…
E perché mai uno dovrebbe comprare i Pan di Stelle originali quando la loro imitazione prodotta dalle grandi catene di distribuzione costa dieci centesimi in meno?
Beh, in primo luogo, perché sono più buoni. Vuoi mettere le stelline glassate della Mulino Bianco con quegli squallidi agglomerati informi di zucchero e dolcificanti vari che assomigliano più ad un asteroide che ad una stella?
In secondo luogo, perché bisogna essere in grado di guardare oltre al risparmio di pochi centesimi per ogni articolo alimentare che mamma Esselunga, mamma Lidl e tante altre hanno copiato per noi riponendolo accuratamente nello scaffale ad altezza testa (quello che vende di più, per intenderci).
Purtroppo in questo momento molte famiglie faticano ad arrivare a fine mese; questo triste dato di realtà però non rende meno validi tali spunti di riflessione.
Potremmo anzi estendere la metafora dei supermercati e dei DVD anche ad altri ambiti della nostra quotidianità, alla politica e, più in generale, alla nostra vita.
Siamo rimasti avviluppati tra le spire della crisi economica e fatichiamo a liberarcene, questo è vero, ma non sarà sicuramente la filosofia della “cura del proprio orticello” a tirarcene fuori. Occorre tener presente che esiste trade-off tra ciò che è bene per sé e ciò che è bene per la comunità e che quindi, qualche volta, bisogna fare dei piccoli sacrifici personali per il bene degli altri.
In ultima istanza, infatti, che cos’è il bene di tutti se non un insieme che include anche il nostro?
Il mio intento non è celebrare un inno al masochismo né una mera pippa mentale sull’auspicio della venuta di un utopistico mondo perfetto. Sono però convinto che la somma dei comportamenti utilitaristici (talvolta semplicemente dettati dalla comodità) moltiplicati per 60 milioni di italiani e per quasi 70 anni di Repubblica abbiano concorso fortemente a produrre la voragine economica e istituzionale in cui siamo sprofondati.
Di sicuro anche la corruzione, le mafie, e il malgoverno c’hanno messo del loro; sono questioni di vitale importanza per capire fino in fondo come stanno davvero le cose.
Nella terra dei terremoti dell’Aquila e dell’Emilia ormai bastano le parole “Stato” e “istituzioni” a farci tremare. Un po’, è vero, per l’acclarata cattiva gestione nella ricostruzione che ha seguitoquesti disastri ambientali, ma anche perché ci siamo dimenticatiche “lo Stato siamo noi”.
La nausea che il dibattitto politico ci arreca e la sua sovraespozione mediatica non devono farci dimenticare che anche noi, nel nostro piccolo, possiamo fare qualcosa per cambiare le cose. Bisogna combattere il malgoverno, ma bisogna anche fidarsi delle istituzioni e stare in prima linea nel tentativo di innovarle. Non è un caso che in Europa le nazioni che vanno meglio in termini economici siano anche quelle dove è riscontrato il maggior grado di fiducia nelle istituzioni (paesi scandinavi, Germania e altri).
Cambiare non significa fare ostruzionismo ed essere qualunquisti, significa attivarsi, pensare con la propria testa.
Se non siete ancora convinti di poter cambiare qualcosa guardatevi Pay It Forward (“Un Sogno Per Domani” in italiano), con l’immenso Kevin Spacey, Helen Hunt e Haley Joel Osment (il bambino de “Il Sesto Senso” per intenderci). Apparentemente potrebbe sembrare un film che gioca con sentimenti facili, come spesso fanno i film che puntano ad una Nomination all’Oscar, ma se cercherete di introitarne il messaggio più profondo alla fine vi sentirete “cambiati”.
Pietro Jellinek