Laurent Fabious Naomi Klein Gwynne Dyer Ttip Zenone

Moriremo tutti (di caldo)

E’ il 1992 siamo a Rio de Janeiro, Brasile, in questo luogo 154 paesi aderiscono ad un trattato appena stipulato, si tratta della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. I Capi di Stato di tutto il mondo hanno preso coscienza della drammatica gravità della situazione, hanno aperto gli occhi e compreso la minaccia che il surriscaldamento globale, causato dalle crescenti emissioni di gas serra, rappresenta per la sopravvivenza dell’uomo e di tutte le altre specie animali. Lo strumento giuridico in questione, il cui scopo programmatico è ovviamente la riduzione di quei gas responsabili del riscaldamento del pianeta, ha un solo difettuccio di fabbricazione, non è vincolante.

Al fine di ovviare al piccolo inconveniente, quegli stessi governanti si riuniscono in Giappone nel 1997 e stipulano il celebre Protocollo di Kyoto. Nei cinque anni trascorsi, i medesimi mirabilissimi statisti si rendono conto che purtroppo non è possibile curare un cancro con l’aspirina, e dunque prevedono l’obbligatorietà dell’accordo. Il testo ufficiale impone che i paesi industrializzati riducano, entro l’anno 2012, l’emissione di gas del 5,2%, rispetto ai livelli misurati nel 1990. Il meccanismo che sanziona l’eventuale inadempimento è molto semplice: una multa salata. Le Nazioni aderenti sono divise in Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo; i primi hanno vincoli stringenti, in quanto maggiormente responsabili del vertiginoso aumento delle emissioni, i secondi non li hanno poiché non sono stati causa del problema, e comunque inquinano poco in ragione del loro scarso consumo energetico. La logica adottata sembra filare liscia: “quanto più la tua economia è avanzata tanto più genera inquinamento, dunque devi adoperarti con più impegno per ridurlo”. Finalmente un testo adeguato, efficace e coerente: eureka!    Nulla di più falso, purtroppo la stesura finale prevede anche i “meccanismi flessibili per l’acquisizione di crediti di emissione”. Attraverso tre modalità diverse è possibile guadagnarsi il diritto ad inquinare. Tali strumenti sono:

  1. Il Clean Development Mechanism (CDM): i Paesi industrializzati possono acquisire crediti di emissione sviluppando “progetti che producono benefici ambientali” nei Paesi in via di sviluppo (L’illuminata ratio di tale previsione si può compendiare nel seguente scioglilingua: “chi inquina di più aiuta ad inquinare di meno chi inquina di meno per poter inquinare di più”).
  2. Il Joint Implementation: se due o più Paesi industrializzati realizzano congiuntamente “progetti per la riduzione dei gas serra” guadagnano crediti di emissione da spendere congiuntamente (Forse, chi ha ideato il JI, nel mentre stava realizzando tutt’altro joint, visto che anche in questo caso la logica appare un tantino contorta: “due inquinatori uniscono le forze per inquinare meno così da poter continuare ad inquinare”)
  3. L’Emissions Trading (ET): se un Paese è particolarmente responsabile e riduce le proprie emissioni in misura maggiore di quanto previsto dal Protocollo, può vendere tali eccedenze ad un altro Paese che potrà produrre gas serra in misura corrispondente (Giusto in fin dei conti cautelarsi da un’eventuale diminuzione globale di questa specie di ambrosia, non sia mai).

Dunque l’Accordo di Kyoto è una grandissima truffa, una presa per i fondelli piena di scappatoie. O forse, può darsi che i redattori del Protocollo fossero grandi ammiratori di Walt Whitman e volessero realizzare una rappresentazione giuridica dei suoi versi:

“Forse che mi contraddico?

Benissimo, allora vuol dire che mi contraddico,

(Sono vasto, contengo moltitudini.)” (altro…)

Pubblicità