La rivoluzione del digital video è qui, a portata di mano. Stiamo parlando di condividere frammenti di vita in tempo reale, video messi in rete che chiunque può commentare nel preciso istante in cui vengono registrati, sbirciando e modificando il corso degli eventi filmati. Si aprono davanti ai web-nauti oceani sterminati di possibilità: dall’amatore che vuol far vedere al gruppo del calcetto un’azione da goal al regista intenzionato a saggiare la reazione del pubblico ad una certa sequenza, le possibilità di utilizzo sono enormi. Chi affonderà gli artigli in questo invitante e promettente mercato, però, ancora non è chiaro; la partita è ancora molto più che aperta e prima di fare pronostici su quale potrebbe essere la nuova app egemone nel campo del social enterteiment occorre ricordare le possibilità e i retroscena di questa ennesima sfida tecnologica.
Non è infatti per nulla assicurato che il confronto Meerkat/Periscope non si risolvi in una bolla di sapone, come tante altre app del momento salutate con inni e giaculatorie, riverenze alla moda del momento.
Quello che è certo è che il dibattito si sta surriscaldando, come ci ricorda Ryan Holmes, fondatore di Hootsuite (un social media per brand management), su LinkedIn. “Alla base dell’interesse generale su queste specifiche app c’è una domanda di fondo più grande: siamo sull’orlo di una nuova rivoluzione sociale che riguarderà il live streaming?”
Può darsi. Sull’App store, una delle recensioni italiane di Meerkat, uscita con un mesetto di anticipo sulla più famosa e sponsorizzata Periscope, recita: “Anche se ormai su YouTube e su altri 1000 siti si può vedere qualsiasi tipo di video, vedere le esperienza di perfetti sconosciuti MENTRE le stanno vivendo, magari dall’altra parte del mondo, è pazzesco… una droga di app!!! Fantastica, penso che nel giro di qualche mese spopolerà!!”
L’opinione di Mat78 è molto interessante proprio perché mette bene in luce le ragioni per cui questo tipo di interazione sociale è in grado di attirare un vasto pubblico: non si tratta di voyerismo, come i più ingenui (e bacchettoni) potrebbero pensare. Siamo invece davanti all’evoluzione di dieci anni di social media e probabilmente questa non sarà neanche l’ultima frontiera. Facebook, Instagram, Vine, Snapchat e similari contano ormai miliardi di utenti, abituati a mettere in mostra le loro vite e ad esigere il maggior dettaglio e la miglior risoluzione possibile; condividere momenti privati e personali attraverso foto e video fa parte di una comunicazione di massa che risulta da tempo socialmente accettabile e anzi molto appetibile. Al punto di essere una droga; la cultura del social sharing è matura per queste modificazioni – dettate anche dall’aumento esponenziale degli smatphone, nelle mani di almeno due miliardi di persone entro la fine del 2015. Al contrario di servizi simili proposti in passato, come Livestream o Ustream, il timing è giusto: saranno un successo!
Ma è anche possibile che invece non lo siano affatto. Infatti non basta il potenziale perché un’app venga scaricata. Certo, il battage pubblicitario è imponente, soprattutto da quando Periscope è disponibile per IOS; non potrebbe essere altrimenti, dal momento che il proprietario della neonata app è Twitter inc. e il bacino d’utenza è la sterminata voliera del colosso cinguettante. Le fosche atmosfere dipinte da Stromae non spaventano nessuno, Twitter rimane il social elegante che tutti gli intellettual(oid)i amano. Internazionale e Wired ne parlano, Linus e Fedez lo usano, gli # fioccano. Ma per far funzionare il proprio digital live streaming, al social dei 140 caratteri serve di più. Tanto per cominciare la funzionalità e l’interfaccia, che per ora è tutt’altro che intuitiva – bisogna dire che io però ho ancora problemi con a tweettare quindi forse non dovrei fare testo… Comunque la grande rivoluzione qui annunciata potrebbe essere meno definitiva di quanto tutti si aspettano; ad esempio, se Meerkat non dovesse prendere piede – vuoi perché l’entusiasmo si dovesse spegnere o perché questo “spontaneo stare insieme”, come lo definisce il suo fondatore Ben Rubin, non interessa poi tanto – ebbene, in questo caso persino i più convinti assertori dovrebbero rinunciare al brivido di vivere le esperienze di perfetti sconosciuti, e con loro anche Mat78. La seconda regola più importante del web business, subito dopo quella più generale applicabile a tutto il mondo degli affari “ci vogliono i soldi per fare i soldi”, è “un social può funzionare solo se già funziona”. Senza utenti, niente passaparola, nessun nuovo iscritto e poche interazioni tra i profili significano l’abbandono della rete di chi già ne fa parte.
In ogni caso, se anche il video live streaming dovesse rivelarsi una vena aurifera particolarmente ricca, toglietevi dalla testa che queste novità possano modificare in modo radicale il nostro modo di vivere. La nostra società è già social, perché lo diventi di più dovrebbero come minimo impiantare ad ognuno di noi un chip nel cervello.
Giulio Bellotto