In occasione della 71esima edizione del Festival del Cinema di Venezia la Biennale ha presentato per il terzo anno consecutivo il progetto College Biennale: un progetto diretto alla selezione ed alla produzione di 12 pellicole, ciascuna con budget di appena 150.000 euro.
L’iniziativa non è nuova nel mondo del cinema.
Già il Sundance Film Festival, ad esempio, porta avanti un progetto analogo già da qualche anno e dunque è prassi collaudata la produzione di film da parte degli organizzatori dei festival (o enti ad essi vicini) per una sezione interna alla quella stessa rassegna.
Vengono selezionati inizialmente le storie che si vogliono produrre: si apre dunque un concorso internazionale di sceneggiature e, una volta individuati i possibili lavori, si passa ad uno stadio successivo, in cui si discute della lavorazione procedendo a successivi aggiustamenti della sceneggiatura ed alla soluzione delle problematiche della pre-production, al termine della quale gli autori partono con le riprese.
Nell’ambito delle opere inserite in questa sezione, quest’anno ho avuto il piacere di assistere a Short Skin di Duccio Chiarini, un film che grazie al distributore indipendente Good Films uscirà a breve nelle sale.
Film adolescenziale, l’opera racconta in modo molto delicato la storia di Edoardo, un ragazzo toscano affetto da un poco simpatico disturbo maschile, la fimosi. Si tratta di un restringimento dell’orifizio prepuziale per via del quale la quale il glande non può essere completamente scoperto. Questo gli impedisce di vivere in modo normale e sereno i primi approcci con le coetanee.
Il problema è affrontato in coincidenza con la fase più caotica della sua adolescenza, caratterizzata dalla scoperta dell’adulterio del padre con una amica di famiglia e il suo successivo, anche se temporaneo, allontanamento da casa. Attraverso le difficoltà nella relazione con una ragazza conosciuta per caso in spiaggia vediamo Edoardo crescere fino al confronto con Bianca, il suo grande amore inespresso con cui è cresciuto e che fino a quel momento l’ha sempre ritenuto solo come il – sia pure più importante – amico d’infanzia.
Chiarini non ci presenta però il solito romanzetto adolescenziale ma traccia piuttosto una netta linea d’ombra (in senso tipicamente conradiano), attraverso la quale passa il protagonista, con evidenti influenze del cinema indipendente americano, senza però abbandonare del tutto temi tipici della filmografia italiana: ad esempio il legame con le proprie origini.Il film è girato in Versilia, luogo assai frequentato dal regista, e più in generale l’ambiente toscano che circonda il film rievoca i luoghi e le situazioni della sua adolescenza.Grazie alla commistione di differenti registri, con un uso intelligente della camera, con riprese coinvolgenti, simmetriche e esteticamente molto piacevoli, l’autore riesce a creare un’atmosfera che si respira raramente nella filmografia italiana, specie in quella dedicata ai giovani: un mix insomma che dà vita ad uno stile molto personale.
Queste brevi considerazioni sull’opera di Chiarini offrono lo spunto per qualche riflessione sull’impiego delle risorse finanziarie nella produzione di film in Italia: problema che sta affliggendo la cinematografia italiana la quale, tolte naturalmente alcune importanti eccezioni, non può oggi vantarsi una grande diffusione di propri prodotti all’estero.
Se la media per produzione di film in Italia si aggira tra gli 1 e 2 milioni di Euro, fa riflettere pensare che un lavoro come quello di Chiarini sia stato realizzato con circa un decimo di tali cifre pur essendo ben superiore nella qualità complessiva rispetto al livello delle ormai ripetitive e scontate commedie italiane (stessi attori, stesse trame, stesse vicende che di innovativo hanno ben poco).
Short Skin è l’esempio del fatto che è ben possibile evitare sprechi di risorse producendo con budget limitati opere che abbiano una loro identità e dignità, nelle quali va riposta la speranza per una rinascita in campo internazionale del cinema italiano, grazie all’attività di giovani autori.
Certo se guardiamo indietro all’età dell’oro del cinema italiano, il confronto appare impari: la produzione di una tale quantità di così importanti opere è forse irripetibile.
Bisogna allora forse guardare al cinema italiano con occhio diverso, aiutandolo a riproporsi senza oppressioni derivanti dal confronto con le opere del passato, che potranno rappresentare il necessario punto di ispirazione per nuove storie (il fatto che Chiarini abbia ambientato il film nei luoghi della sua adolescenza e abbia introdotto elementi autobiografici non può non rinviare a Fellini) e non un obbiettivo da raggiungere.
Tommaso Frangini