Day: 5 febbraio 2016

Francesco Vezzoli as Curator

Il Museion di Bolzano ha invitato l’artista Francesco Vezzoli (Brescia, 1971) a presentare un progetto espositivo come guest curator, tradizione che il museo d’arte contemporanea della provincia autonoma porta avanti da ormai quattro anni. Lo spazio, realizzato dallo studio KSW– Krueger, Schuberth, Vandreike di Berlino, coinvolge, infatti, ogni anno un curatore esterno a proporre una mostra tematica. Il 2012 è stato l’anno di Rein Wolfs, attuale direttore della Kunst- Und Ausstellungshalle della Repubblica Federale di Germania, poi Carol Yinghua Lu e Liu Ding, infine Pierre Bal-Blanc, già direttore del Contemporary Art Center di Bretigny e ora nel team curatoriale di documenta 14. Inoltre, il Museion ha invitato l’artista italiano ad esporre una prima retrospettiva della sua produzione scultorea, garantendo a Vezzoli un doppio incarico da affrontare.
Il risultato è la mostra Museo Museion, inaugurata il 30 febbraio e aperta fino al 16 maggio, nella quale Vezzoli sfrutta i primi piani dell’edificio per presentare una selezione di opere della collezione e l’ultimo per le proprie sculture. Il fil rouge che lega le due esposizioni è chiaro. Vezzoli si pone come presunto filologo e archeologo (o anti-filologo e anti-archeologo), che tenta di ricreare connessioni, dialoghi, rapporti parentali in primis tra le opere della collezione del Museion e capolavori della storia dell’arte (dal Rinascimento al Post-moderno), poi nel lavoro affrontato con le proprie opere scultoree. Tuttavia, come ben sappiamo, non ci troviamo davanti a un Salvatore Settis, la cui professione e precisione è stata recentemente osservata di nuovo nelle mostre Serial Classic e Portable Classic presso la Fondazione Prada di Milano e Venezia. Ma davanti ad un artista la cui poetica è da sempre basata sulla creazione di spiazzamenti percettivi, il cui obiettivo è “decostruire lo strumento della promozione” creando specchi dell’effimero mediatico, come in Comizi Di Non Amore, davanti all’artista più apprezzato dalle star hollywoodiane, che ha stigmatizzato aggiungendo ai loro ritratti la sua celebre lacrima ricamata. La post-produzione e il mixaggio divengono le chiavi d’intervento di Vezzoli che dedica incessantemente la sua attività alla commistione, sia che essa avvenga attraverso voli pindarici nell’antichità, sia tramite l’unione di trash televisivo e cinema alto. Il ritratto dell’artista che ha partecipato, tra le altre, alla Istanbul Biennal (1999), a tre Biennali di Venezia (2001, 2005 e 2007), alla Whitney Biennal (2006), alla Shanghai Biennal (2006), e che ha esposto personali dal Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea di Torino (2002), alla Tate Modern di Londra (2006), al MoCa di Los Angeles (2014), al MoMa PS1 di New York (2014), si è, quindi, già delineato chiaramente, così come il suo intento.Francesco-Vezzoli-Museo-Museion-Museion-2016-foto-Luca-Meneghel-5
A Bolzano intorno ad ogni singola opera contemporanea selezionata dalla collezione del Museion è stata dipinta sul muro una cornice appartenente ad un altro quadro, proveniente dal XV al XX secolo. A lato dell’opera fornita ora di una doppia cornice, pendono fogli con l’immagine del quadro esposto, di quello storico abbinato, e una sintetica spiegazione dei loro autori.
Così un Achrome del 1961 di Piero Manzoni è circondato dalla cornice della Primavera di Giuseppe Arcimboldo, del 1573, il Blind Al (Mirror) di Douglas Gordon del 2002 dialoga con il Jean Cocteau del 1916 di Amedeo Modigliani, una serigrafia su plexiglass Senza Titolo di Emilio Vedova con il celeberrimo Ritratto di Baldassarre Castiglione, 1515-16, di Raffaello Sanzio, il Labirinto del 1957 di Carla Accardi con il Concerto campestre, 1510-11, di Tiziano Vecellio. Il legami che Vezzoli vede tra le opere accostate sono di diversi tipi: visivi, biografici, concettuali, ironici, ma anche inesistenti. Se Nan Goldin è accostato al Caravaggio per una sua sensibilità alla narrazione degli emarginati, prostitute, travestiti, drogati, del sesso e della miseria, Piotr Uklanski, con il suo Untitled (Black moon) del 2003, si accosta alla celebre Pietà databile 1455-1460 di Giovanni Bellini per un freddo richiamo alla morte, per quel cerchio lunare centrato nella fotografia del polacco che si ritrova nelle mani del Cristo, forate dai chiodi.
In altri momenti l’opera contemporanea è letta come un proseguimento ironico del passato, così avviene nel binomio fintamente maschilista Maria che cuce (la cucitrice), 1981, di Michelangelo Pistoletto, e Lo sposalizio della Vergine, 1504 di Raffaello Sanzio, dove la madre del Cristo, colta nel momento del matrimonio cede al giogo del sacramento e si dedica, nuda, a rattoppare un panno. O ancora, i segni della Accardi sono letti come profusione lirica scaturita dagli strumenti del Concerto campestre di Tiziano. Più ostico appare ad esempio il collegamento tra il gesto di Vedova e il ritratto di Baldassarre Castiglione di Raffaello, che potremmo intuire solo costringendo la nota sprezzatura, quella disinvoltura naturale nell’agire che qualificava il perfetto cortegiano nel trattato dell’intellettuale rinascimentale, all’interno della libera azione pittorica dell’informale veneziano.Francesco-Vezzoli-Museo-Museion-Museion-2016-foto-Luca-Meneghel
La prima parte della mostra di Vezzoli va quindi contestualizzata come un gioco attraverso la storia dell’arte, privato di una pesantezza che le avrebbe fornito una vera filologia o un’azione completamente concettuale: un leggero divertissement dalle sembianze pop. Tale esito nasce, ovviamente, a stretto contatto ed in coerenza con la piccola retrospettiva delle sculture di Vezzoli ospitata all’ultimo piano. Nella sua produzione scultorea Vezzoli interviene su opere storiche, applicando su di esse détournements e modifiche, accostamenti ironici, o, come nel caso più interessante e “consapevole”, riportandole alla loro originaria apparenza. Alcune opere presenti, ad esempio, già esposte alla mostra Teatro romano al MoMa PS1, sono busti in marmo risalenti ai primi secoli dopo Cristo ai quali l’artista, dopo averli acquistati all’asta, ha restituito la policromia, con la consulenza dell’archeologo della New York University Clemente Marconi. Quella che sembra immediatamente una resa pop del classico, in realtà nasconde un intervento estremamente filologico e archeologico, in contrasto con il grande fraintendimento storico artistico di una statuaria antica assolutamente acromatica.
L’artista come curatore si dimostra nuovamente capace di creare logiche e schemi che proiettino in mostra il proprio universo di pensiero e di analisi. Al Museion è avvenuto con quello di Vezzoli, ossessionato dall’ingresso nell’immaginario collettivo dell’immagine e da una sua lieve e a volte ingenua dissacrazione.

 

Bernardo Follini

courtesy: Museion
fotocredit: Alessandro Ciampi / Luca Meneghel

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