“Bello mondo”, l’inno alla felicità poetica

Il mondo è santo! L’anima è santa!
da Nota al piede per Urlo, Allen Ginsberg

La gioia è la componente più importante di ogni poesia. Agognata, celebrata, disprezzata, problematizzata; ogni poeta è portatore e tramite (talvolta inconsapevole) del mistero profondo della gioia per la vita, che come un contadino nel campo getta a piene mani su chi l’ascolta. Non ha alcuna importanza se il seme germoglierà o meno;
Poesia non è una religione e poco le interessa di dare frutto. E’ l’atto in sé ad essere poetico, non il suo risultato; l’utilità di ogni fiato è determinata da chi lo interpreta, subendone il fascino. Poesia è puramente estetica, come un fiore.
Cos’è in fondo un poeta se non l’impollinatore delle anime?

gualtieriChi ha assistito ad un reading di Mariangela Gualtieri lo sa bene, la lettura può diventare un rito di fertilità per propiziare nuove esistenze e nuove consapevolezze; basta adottare la cura che si mette nel coltivare i fiori, quella cultura della vita gioiosa e libera che è còlere animi, coltivare l’umanità che ciascuno di noi dimentica un po’ ogni giorno.
Durante l’ultima data milanese della poetessa per il Teatro, le piante sono state mute testimoni, nella serra che ospita la rassegna teatrale Gemme e Tempesta, di un miracolo post-moderno in ambiente urbano. In sottofondo lo sferragliare dei tram, rumorosi emissari del consesso civile, quello che non perde tempo in poesie.
Il pubblico invece si è preso un’ora per ricordare quale può essere la potenza delle parole, natura astratta di Dio. Attraverso il corpo sonoro della poetessa che si fa chiamare poeta – perdonate la mia prosa con le sue prosaiche precisazioni di genere – la tensione muscolare delle mani, dita tese allo spasmo, diventa flatus voci, parole che distendono come un benefico balsamo.
Lo scialle verde che accompagna quella figura di piccola donna senza età e con molti anni rivela un abito nero; il sole sta tramontando oltre le rotaie del tram e mi viene in mente una vecchia canzone:

Così quando il sole muore,
fiore, perdi il tuo colore,
le qualità che ti hanno reso vero.
Ma chi lo dice che il fiore è nero?
dal ritornello de Il fiore nero, Nomadi

E’ “bello, bello, bello mondo”. E’ santo. Ed “è forma, unione, progetto – è vita eterna – è Felicità”, come proclama Walt Whitman sul finale di Song of Myself, poema americano per eccellenza delle cui sonorità  L’Urlo di Ginsberg è erede diretto.

Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, Der FensterputzerE’ bello vedere le foglie d’erba cresciute attorno alla Cooperativa sociale I Percorsi ONLUS, promotrice di Gemme e Tempesta. Il loro rinverdirsi di nuovo, ancora una volta grazie ad un teatro rivolto al sociale, fa sperare in un raccolto di piena e matura umanità.
Sul palco sono appoggiate due zucche, di un arancione sereno e luminescente, rassicurante complemento volumetrico alla fissità dell’interprete; il suo sguardo colpisce tanto quanto il tono di voce, pacato e ritmico, cristallizzato nell’attimo in cui lo si incassa, appena sotto lo stomaco. Le parole rimbombano nel corpo, cassa di risonanza delle menti; in quello di Mariangela Gualtieri come negli astanti, i loro volti concentrati quanto il suo.
Ecco in che cosa il poeta è strumento, musicale e morale, della bellezza.

Si tratta una cosa piccola, un’inezia al confronto del mondo là fuori, così pieno e indaffarato; la poesia è abbastanza grande e importante da riempire solo ogni spazio vuoto, disposto all’ascolto, fermo, messo da parte perché ritenuto non interessante. Forse per questo chi viene assistito quotidianamente da I Percorsi, per la maggioranza persone affette da disabilità acquisita, si è entusiasmato più degli altri spettatori di Bello mondo. Forse perché conosce realmente le difficoltà e la soddisfazione di vivere il quotidiano, l’ordinaria bellezza accanto a cui passiamo ogni giorno senza soffermarci.
Il poeta, invece, si sofferma. Come era capace di fare l’ironia  acuta di Wisława Symborska, viatico della stessa taumaturgica regalità con cui Mariangela Gualtieri impone oggi le sue mani tese sul pubblico. Mani che indicano la modernità e, con il garbo e la comprensione di un’epoca felice, ne sorridono.

Giulio Bellotto

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