Dopo i tragici avvenimenti di Parigi tutto il mondo, in particolar modo quello virtuale dei social network, si è colorato di blu, bianco e rosso. Le tinte della bandiera francese hanno cominciato a campeggiare pressoché ovunque, dalle foto del profilo di migliaia di utenti facebook, ai più noti monumenti di tutto il mondo.
L’indignazione per i crimini contro l’umanità commessi dai terroristi ha improvvisamente scosso le coscienze dei più che, in un impeto di orgoglio per i valori occidentali, non hanno potuto esimersi dal manifestare pubblicamente il loro sostegno a Parigi ed alla Francia in generale.
PrayforParis e JesuisParis sono subito balzati alla ribalta come slogan di solidarietà alla Francia e di sdegno nei confronti della barbarie dell’Islamismo radicale.
Poche ore prima dei fatti di Parigi un altro attentato di matrice fondamentalista, operato sempre dall’IS, colpiva Beirut, capitale del Libano, provocando 43 morti e centinaia di feriti. Ciononostante nessun monumento si è illuminato con i colori della bandiera libanese, nessuna parola di condanna da parte dei leader mondiali ne dichiarazioni di sostegno alla popolazione libanese, nessuna foto profilo ha omaggiato i morti di quell’attentato, quasi come se contassero meno, se non avessero pari dignità. Un morto occidentale vale più di un morto in medio oriente.
Ma questo è un copione già visto. Dopo l’attentato alla testata del giornale satirico Charlie Hebdo del Gennaio scorso gli hashtag “jesuischarlie” si erano sprecati e il mondo intero si era commosso per i paladini della libertà di parola morti mentre lavoravano nella propria redazione, dimenticandosi o, peggio ancora, ignorando che nei giorni precedenti in Nigeria, sempre per un attentato terroristico, erano morte più di 2000 persone.
Uno dei più sanguinosi attentati dell’ultimo decennio oscurato perché, ahinoi, accaduto nella periferica Africa, dove la morte è una costante quotidiana.
La ragione del maggior risalto dato ai lutti nostrani, rispetto a quelli che avvengono in posti da noi lontani, da parte delle testate giornalistiche è probabilmente spiegabile con la deprecabile legge giornalistica che un morto a Parigi fa più notizia di uno a Beirut o a Kathmandu o a vattelapesca. E’ un modo di agire cinico ma logico: il lettore si identifica di più con un essere umano che ha il suo stesso stile di vita piuttosto che con quello di paesi lontani, lo colpisce di più, sarà perciò più interessato alla notizia di una strage avvenuta in Europa o in America piuttosto che in Asia o Africa e, conseguentemente, più copie verranno vendute.
Quello che mi disgusta e che difficilmente riesco a concepire è come invece la coscienza della persona comune, scevra dalle detestabili logiche di mercato cui la stampa si genuflette, si muova a compassione solo per ciò che avviene “in casa propria”, solamente per i fatti che colpiscono la ristretta area geografica identificabile con l’occidente.
Siamo tutti Parigi, siamo tutti Charlie Hebdo ma non siamo Beirut o Baga (per chi non lo sapesse è la città nigeriana dove il gruppo terroristico di Boko Haram ha ucciso più di 2000 persone nel Gennaio di quest’anno).
E’ probabile che il motivo di fondo sia l’ignoranza. L’ignoranza dell’occidentale medio che si commuove per un ragazzo morto per andare ad un concerto, che poteva essere suo figlio o un suo amico, ma non lo fa per un ragazzo musulmano del quartiere sciita di Beirut, quelli chi cazzo sono dopotutto.
L’ignoranza ha permesso ai governi occidentali prima di creare, poi di combattere quasi tutti i maggiori gruppi terroristici attuali, armandoli per combattere i propri nemici per poi liquidarli a compito ultimato.
Quella stessa ignoranza che permette da anni i soprusi più infami perpetrati dalle potenze mondiali nei confronti dei paesi non allineati. La NATO bombarda la Siria? “Massì ci saranno i terroristi!” questo è ciò che pensa il lettore medio.
L’ignoranza unita al menefreghismo, figlio della concezione che al mondo di importante ci sia solo l’occidente, prospero e democratico che può solo che insegnare agli altri paesi del mondo come si vive, esportando la democrazia e le sue conquiste di civiltà.
Se non abbandoniamo questa concezione eurocentrica e questa mentalità del “noi e loro”, facciamo il gioco dei terroristi, che sostengono l’ipocrisia del modello occidentale per giustificare i loro attacchi. Gioco facile hanno i leader dei movimenti integralisti, a dipingere l’infamità del nemico che da anni opprime ed impoverisce i paesi che dell’occidente non fanno parte.
Se non vogliamo più fornire appigli per fomentare la causa jihadista, è la concezione e la consapevolezza della gente comune che per prima deve cambiare.
Io non sono Charlie Hebdo e non prego per Parigi, io prego per il mondo intero ma soprattutto prego perché gli abitanti del cosiddetto primo mondo comincino ad aprire gli occhi su come stiano realmente le cose e a capire che se c’è gente pronta a farsi esplodere o a sparare sulla folla ad un concerto, non è perché siano pazzi o insensatamente cattivi ma forse tutto ciò è un germoglio di quello che noi occidentali abbiamo seminato negli ultimi vent’anni.
Federico Arosio