A volte vado a volte vengo di che si tratti non mi sovvengo
– Mi ami? Nuove situazioni intrapsichiche ed intrapersonali, n. 34, Ronald Laing
Una stanza spoglia e bianca, una donna nuda si dondola sul pavimento, malata.
…”schizofrenia, lei cosa farebbe?”
Il medico, appena gli fu posta la domanda, con un gesto rapido iniziò a togliersi la giacca, la cravatta allentata, poi la camicia e i pantaloni. Aprì la cella, entrò, si sedette e iniziò a dondolare sul pavimento al ritmo della sua compagna. Così, davanti a medici e infermieri stupiti, quel silenzio che regnava da lungo tempo fu rotto.
L’uomo in questione è il medico Ronald Laing, importante e noto psichiatra che visse nel ‘900. Egli diede un grande contributo alla scienza psichiatrica sviluppando una concezione del malato e della malattia stessa, vista come forma di “esperienza” esistenziale e punto di vista che ammettono la possibilità di essere riconosciuti da tutti:
Tutto in tutti | Ciascun uomo in tutti gli uomini | tutti gli uomini in ciascun uomo.
– Tutto in tutti, da Nodi, di Ronald Laing
La malattia per Laing era insediata non negli organi biologici o psichici, ma piuttosto nel contesto sociale, in quella rete di comportamenti e dinamiche legati alla realtà. Il manifestare un comportamento psicotico da parte di un dato soggetto per Laing era espressione di insofferenza, calata in un sistema di referenze e simboli personali, significativi solo se visti dall’interno. Se il terapeuta avesse capito meglio il paziente, avrebbe potuto usare quei simboli per rivolgersi ai problemi che avevano dato corso al comportamento psicotico stesso.
Con il libro Mi ami? nuove situazioni intrapsichiche e interpersonali, Laing si rivolge a se stesso dal di dentro: ne risulta che ci troviamo ad essere immersi all’interno, nel corpo concreto di una realtà psichica, in cui la malattia trasposta attraverso il linguaggio, la psichiatria, l’analisi e la filosofia diventa comprensibile, riconoscibile anche per noi.
Questa la grande novità dello scritto e la forza di questo autore che ha rappresentato la psicosi, la vicinanza con il baratro dell’irrazionale, il divario con l’Altro come un percorso mentale lucido e insieme intriso di angoscia. Ho letto il libro alcune volte e in ognuna di queste ho ritrovato me stessa tra quelle righe così asettiche e apparentemente isolate dalla realtà. Mi sono ritrovata in forme diverse e persino rafforzata in quelle strutture che mi appartengono più nel profondo. Il contenuto di quelle battute è calato nella realtà psichica di tutti gli uomini.
Per questo motivo ho deciso di utilizzare quattro frammenti presi dal libro, per far sì che la luce di quelle parole inizi “a irrompere nelle nostre menti”, illuminando squarci di vita e sensazioni condivisibili da tutti. Ho accompagnato questi passi con testimonianze di alcune persone che hanno raccontato con coraggio e generosità l’esperienza che hanno vissuto introducendosi nel libro e finendo per “sentirsi dal di dentro”. Queste persone hanno messo tra loro stessi e me un ponte che ci ha avvicinato, che ci ha posto sullo stesso piano, quello dell’esperienza; riportando tutto all’ascolto ci siamo allontanati dalla dimensione della malattia.
Possiamo vederli così questi testi: assomigliano ai tronchi spogli degli alberi, e noi con le nostre esperienze nella nostra diversità rappresentiamo chiome variopinte e multiformi che vivono su di essi, coprendoli e decorandoli.

Visionaries collages di Eugenia Loli
Ho il collo sulla ghigliottina la lama scende la mia testa va da questa parte il resto dall’altra da quale parte starò io?
—Giaccio nel letto, è tardi o almeno regna il silenzio nell’appartamento e mia madre è già passata a darmi il bacio della buonanotte. Il sonno però tarda a farmi visita questa notte e la testa non è stanca, vaga nelle stanze dei ricordi prossimi, della giornata passata e di quella che si presenterà l’indomani, vaga nel desiderio luccicante di fantasia e mi parla, delinea con la sua voce, forse la voce della mia testa, tutti i passaggi.
Proprio questa voce diventa oggetto del vagare, piano piano il luogo pulito su cui la voce disegnava i suoi pensieri cede il posto all’universo, a me stesa a pancia in giù tra le stelle e i pianeti. La voce rimbomba.
Sono sola, se muoio sarò davvero sola. Ma non sono sola, c’è la mia famiglia, c’è il mio cane, ci sono i miei peluches, ci sono io! Io con me stessa, sempre, questa voce, questo pensiero.
Ma se fosse tutto silenzio?
Ci sarà qualcosa quando io non ci sarò più?
L’universo non risponde, ma la voce parla con se stessa, lasciandomi come spettatrice.
Se io muoio, dove andrò? Dove finirà questa voce in cui mi identifico? Come può finire?
Rimarrà, sì resterà, qui, nell’universo; così i miei occhi si chiudono, il respiro prende la regolarità del dolce sonno sereno di una bimba.—
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4. L’ho persa
Perso cosa?
L’hai vista?
Visto cosa?
La mia faccia
No
—Mia madre. Non posso fare a meno di pensare a mia madre, ha perso la sua faccia quando aveva quindici anni, non l’ha più ritrovata. E’ stata costretta a rinunciare al suo guardo, alla sua faccia quella mattina, guardandosi allo specchio prima di uscire, e non tornare mai più in quei panni, in quei bulbi oculari, in quelle palpebre.
Si è proprio fermata in quell’istante, l’ultima volta che ha potuto riconoscersi; adesso è diventata una di quelle persone che pensa dove sedersi quando entra in una stanza.
Per tutta la vita ha cercato negli altri una faccia che potesse andare bene per lei, ripeto faccia perché non voglio che qualcuno possa pensare in alcun modo a una maschera, si parla proprio di faccia. Nessuno è mai più riuscito a vederla, e nemmeno lei ha mai più potuto sentire se stessa, e nemmeno dentro a se stessa. Beh, sono io la figlia di nessuno? Ha cercato di prendere anche la mia faccia, una volta.—
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62. Come la neve a me l’amore pare
quand’è venuto se ne deve andarenon dir così, che questa è una bugia
l’amore resta, il tempo vola via
Gli occhi sorpresi, curiosi, la fame di leggere ma un attimo! —Siamo io e lui— irrompe nel silenzio. —La nostra relazione è un continuo volare tesi tra questi due poli, in quello spazio bianco sulla pagina ci sono litigi, lacrime, urla. Però, alla fine ci siamo entrambi su questa pagina, insieme—
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43. Ti faccio male
quando ti tocco?era il tuo un fremito
oppure un brivido?di dirmi ti pregherei
a che punto seipuoi ingiuriarmi
e perseguitarmibasta che continui a volermi
— E’ difficile raccontare, sono più sensazioni e situazioni che si mescolano assieme—
Faccio un cenno con il viso, continua pure.
— Ci siamo io e lui, seduti sul divano, c’è umidità e c’è la musica di sottofondo che mi permette di distrarmi dalla situazione che non capisco.
E’ lui a parlare per primo, e in quegli spazi bianchi c’è la mia risposta, non mi fai male quando mi tocchi, dovrebbe farmi male ma non sento ingiustizia, fremo dal desiderio e i brividi, pizzicano la mia pelle e mi fanno girare il viso verso la musica.
Parliamo insieme adesso, mi chiede cosa penso ora che guardo il vuoto, gli chiedo cosa pensa ora che l’ho allontanato.
E su questa scia di parole continuo leggendo il suo viso, camminando tra le sue rughe di espressione, vedendo una smorfia di dolore ma una luce negli occhi così viva. Non importa, basta che tu ci sia.
Francesca Proni