Yorgos Lanthimos, regista greco, ex alunno della Stavrakos Film School di Atene, riporta sul suo palmarès una notevole carriera artistica. Quattro sono i film da lui diretti singolarmente ed ognuno di essi ha riscosso un notevole successo. Kinetta (2005) è stato selezionato al Toronto Film Festival. Kynodontas (2009) ha vinto alla sezione Un Certain Regard a Cannes ed è stato inoltre candidato come miglior film straniero ai Premi Oscar del 2011. Il suo quarto film Alps (2011) ha vinto a Venezia il Premio Osella per la migliore sceneggiatura (firmata Yorgos Lanthimos e Efthimis Filippou che ha inoltre co-sceneggiato Kynodontas e The Lobster). Infine il suo ultimo film, The Lobster, quest’anno ha portato a casa il Premio della Giuria al Festival di Cannes.
The Lobster narra di un passato distopico dove i Single vengono mandati nell’ “Hotel” dove hanno quarantacinque giorni per trovare un partner. Se il compito non viene portato a termine, allo scadere del tempo, i Single verranno trasformati in un animale a loro scelta. Così il protagonista, Colin Farrell nei panni di David, prende la decisione di voler diventare un’aragosta. Al termine del tempo prestabilito fallisce, decide allora di fuggire nel “Bosco” e diventare parte integrante del gruppo dei Solitari capitanato da una sensuale Léa Seydoux. Lì si innamorerà di una donna (Rachel Weisz) con la quale instaurerà un’intricata relazione a causa delle rigide regole dei Solitari.
Il film non viene contestualizzato nello spazio e nel tempo, ma può essere collocato temporalmente in un passato prossimo solo attraverso un semplice indizio: uno dei passatempi dei Solitari è quello di ascoltare in cuffia musica elettronica, la quale concilia la loro solitudine, e il device che utilizzano è un Walkman.
Punto cardine di The Lobster è la narrazione che viene espressa con una certa verve da un’originale sceneggiatura. Sorprendono i metodi comunicativi dei personaggi che appaiono come degli esseri denaturati, esseri retrogradi, limitati a semplici ragionamenti, inseriti in un meccanismo vitale fisso e ripetitivo. Ed in questo uroboro David e la sua Donna sono l’eccezione che rompe gli schemi, facendo prevalere sulla sistematicità di questa società una sincera relazione sentimentale, che si basa su un linguaggio dei segni creato ad hoc per sfuggire agli occhi indiscreti degli altri Solitari.
Il sistema in cui sono trapiantati appare come la ricostruzione di un governo totalitarista dove l’essere single non viene socialmente accettato. La narrazione e la recitazione conseguentemente prendono il sopravvento su tutti gli altri mezzi tecnici donando una certa purezza, dove la fotografia naturalistica, dovuta al principale utilizzo di luce al naturale, si mette al servizio dello sviluppo narrativo. Tutto ciò avviene attraverso pochi movimenti di camera, qualche maestoso slow-motion e impercettibili dollies.
Lanthimos stesso ha dichiarato di aver trascorso sul set la maggior parte del tempo con gli attori focalizzandosi sulla recitazione. Recitazione inconsueta che viene completamente desaturata da qualsiasi eccesso espressivo e colpisce per la vena ironica che viene accompagnata da una sorte di apatia o passività verso il presente.
Per certi versi The Lobster stucca leggermente per il suo essere prolisso ora a causa di una motivo ripetitivo della soundtrack, ora a causa di un linguaggio che non permette allo spettatore una totale immersione.
Nonostante ciò, il film è di grande valore per l’aperta chiave di lettura, supportata anche dal finale, dove molteplici temi possono intrecciarsi per una personale interpretazione, che può variare da una rappresentazione di un sistema totalitaristico ad una rappresentazione romanzata della solitudine e/o del romanticismo. Indubbiamente la distopia di The Lobster ricorda molto 1984 di George Orwell, dove dai soprusi della società e dalla solitudine intellettuale ciò che salva i protagonisti è l’amore, anche se per Winston e Julia la fine sarà più tragica.
Così Yorgos Lanthimos ancora una volta sorprende per la sua trasgressività e dimostra forte personalità nel mantenere l’Assurdo come filo conduttore di un cinema che sorprende ancora una volta per straordinarietà e originalità.
Giovanni Busnach