Il dinamismo mentale di Behr alla Loom Gallery

Il sedimento di vite e di storie ospitate dalla Loom Gallery risuonano come un ticchettio in ogni opera.

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Installazione al Awaln Art Festival di Marrakech, 2011.

Clemens Behr, nato nel 1985 a Koblenz, in Germania, utilizza, infatti, fin dai primi anni un meccanismo di “decostruzione-costruzione” nei confronti degli elementi che incontra nella propria vita quotidiana. Nato come street artist, rapido testimone della contemporaneità che esplora attraverso il suo sfrecciare in skateboard per le strade, Behr si interessa al dinamismo delle sue creazioni, elementi di scarto e di recupero, che nascono e crescono nello spazio, interno ed esterno. Nel 2010 al Rojo artspace di Barcellona riempie la galleria delle sue geometrie componendo una Merzbau moderna; nel 2011 è al Awaln Art Festival a Marrakech, dove le sue installazioni, come gaii parassiti, si attaccano a strutture preesistenti integrandosi nell’ecosistema e riflettendo i colori di questa terra. Sia al Rojo Nova di Rio de Janeiro, sia nelle sue installazioni pubbliche a New York l’opera di Behr parte dal contesto ospitante, rifuggendo ogni tipo di invasività.

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CCW (Conterclockwise), 2015.

Ed è per questo che alla mostra Clockwise l’artista sceglie una dimensione minimale, giocata sul contrasto tra il bianco e il nero, in modo tale da non distaccarsi né tantomeno sovrastare lo spazio della neonata Loom Gallery.
La mostra si focalizza sui temi dello spazio e del tempo, partendo e ribaltando il concetto di una delle opere, CCW (Conterclockwise), un assemblage di orologi filtrati da un plexiglass, che scandiscono il tempo in senso antiorario. L’opera, vera bussola paradossale del mondo creato da Behr a Milano, è la madre da cui nascono gli altri lavori in mostra. Nelle grandi tele, Untitled (in progress), la tempera, sovrapposta in più strati, forma delle lavagne sulle quali con il gesso sono scritti rapidamente e poi semicancellati pensieri istantanei, come “fixed fixed fixed”, ossessivo desiderio di Behr di rielaborare l’opera. Le zone geometriche lasciate completamente nere dall’autore sono concepite come “pensieri perduti”, luoghi in cui la confusione mentale e materiale schiacciata e compressa sulla tela trova un momento di riposo, un attimo di silenzio, dovuto all’incapacità di Behr di aver colto la loro volatilità.

Untitled (Light) è l’apoteosi del processo decostruttivo e costruttivo di Behr. Un pezzo di legno facente parte di un’installazione site-specific precedente viene estrapolato da questa e messo sotto plexiglass, illuminato da una gelida luce al neon, fiaccata da un nastro che la ricopre. Il misero pezzo di legno, un tempo parte di un intero nel quale ricopriva un ruolo deteriore, essendo posto sul pavimento e quindi perpetuamente calpestato, ottiene una seconda vita che gli garantisce una rivalutazione. Da “shit”, come lo chiamava l’artista, il legno diviene protagonista della sua storia, fiero delle cicatrici che il calpestio degli spettatori gli ha indelebilmente procurato.

Lost Draft racchiude perfettamente le evoluzioni del pensiero di Behr, il suo giungere ad un fine avendo perso o, addirittura, tradito il suo inizio. Un blocco di MDF viene inizialmente utilizzato come bozza preparatoria bidimensionale, sulla quale il gesso incatena i pensieri di Behr. Nel dinamismo mentale dell’autore, l’opera viene poi rielaborata in chiave tridimensionale, attraverso l’intaglio, in modo tale da ottenere una nuova forma monumentale, piegata al suo nuovo statuto, ma segnata e sporcata dal suo passato primigenio.

Nel mondo dell’artista tedesco nulla esiste mai definitivamente. Il pezzo di carta abbandonato sul ciglio della strada, così come il repentino pensiero illuminato, sono segmenti di tempo e di spazio che presso la Loom Gallery vengono esplorati nella loro evoluzione e involuzione. Il senso antiorario che domina il microcosmo milanese ci permette per una volta di soffermarci senza “perdere tempo” e, anzi, guadagnandone. Il dinamismo mentale di Clemens Behr, così, pone necessariamente davanti ad una serie di disillusioni, forse, prima tra le quali, l’impossibilità nella vita di raggiungere un’opera finita e quindi perfetta. Il suo continuo camminare nel tempo e nello spazio, il suo denominare i lavori come in progress, scardinano un sistema al quale siamo stati educati e infondono instabilità nella nostra fermezza.

Forse anche Behr, un giorno, fermerà la sua corsa urbana, ponendo un punto alle sue riflessioni, scrivendo con il gessetto la parola “fine” sulla lavagna della sua vita. Ma, nel frattempo, il suo lavoro ci avrà insegnato un nuovo sguardo con cui osservare lo spazio, approcciare il pensiero, ascoltare il tempo.

La mostra sarà aperta fino al 31 ottobre, presso la Loom Gallery, via Marsala 7.

Bernardo Follini

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