Exile On Main Street: l’imperfetta sintesi del rock ‘n’ roll

La genesi

“Excusez-moi, où est la Villa Nellcôte?”

Uno scapigliato ragazzo di 22 anni sta rivolgendo questa domanda a chiunque, come un ossesso, nel pieno centro della deliziosa Villefranche sur Mer, a una manciata di miglia a est di Nizza.

Villa Nellcôte come appare oggi, seminascosta dagli alberi. In primo piano, l'autore dell'articolo (a sinistra) e il Bloggo

Villa Nellcôte come appare oggi, seminascosta dagli alberi. In primo piano a sinistra, l’autore; a destra, altra gente del Bloggo.

E’ Maggio del 1971 e il protagonista della storia si chiama Dominique Tarlé, ribelle fotografo francese. La sua domanda non trova risposta: la gente lo guarda con aria ripugnata e tira dritto dopo aver mugugnato qualcosa. Insomma, classico trattamento riservato ai giovani fricchettoni post Sessantotto. Già, perché Dominique il Sessantotto lo ha vissuto, eccome! E’ un ragazzo proveniente da una modestissima famiglia parigina, una di quelle con due guerre mondiali alle spalle. La prospettiva di una vita in fabbrica lo spinge, a 16 anni ancora da compiere, a lasciarsi trascinare dal fermento giovanile di quegli anni e ribellarsi all’autorità paterna: “io faccio quello che voglio!”. Si procura una macchina fotografica e inizia un’improvvisata carriera da fotografo che lo porta ad immortalare tra il 16 e il 18 aprile 1965 l’esibizione parigina all’Olympia di una cover band molto “cool” direttamente dall’Inghilterra, i The Rolling Stones, che ha anche il piacere di conoscere personalmente. In quel periodo, quella che sarebbe poi diventata la più grande rock ‘n’ roll band del mondo rappresenta poco più dell’alternativa sporca ai connazionali The Beatles, con una sola vera grande hit nel bagagliaio (Satisfaction) e tante, tante reinterpretazioni di classici del blues. Dominique è entusiasta di avere prima fotografato, poi conosciuto, la band britannica capeggiata da un ragazzotto coi capelli biondi a caschetto che trasuda già a vent’anni una personalità da Godstar – nel 65 il leader carismatico della band è ancora il compianto Brian Jones – ma soltanto qualche anno più tardi si rende conto dell’importanza della sua esperienza.

Le Pietre Rotolanti, infatti, dal 66 al 71 pubblicano, nell’ordine, i seguenti album di inediti: Aftermath, Between The Buttons, Their Satanic Majesties Request, Beggars Banquet, Let It Bleed e Sticky Fingers per un totale di sei album, cinque dischi d’oro e sei di platino tra Stati Uniti, Inghilterra e Canada. Insomma, non proprio spiccioli. Così, sei anni dopo, venuto a conoscenza del fatto che gli Stones si trovano in Costa Azzurra in una sorta di “esilio forzato”, Dominique non si lascia sfuggire l’occasione per fotografarli una seconda volta. Appena riesce a strappare qualche informazione circa la località precisa della nuova residenza di Keith Richards, esce di casa sua, a Parigi, e tra treni e autostop si mette in viaggio per Nizza, magari domandandosi che cosa possa essere successo a Jagger e Richards per prendere la decisione di abbandonare Londra da un giorno all’altro, ancora inconsapevole che le origini di tale scelta saranno famose per esser state la base della creazione del più grande album rock’n’roll del Novecento, Exile On Main Street.

exile

Facciamo un passo indietro. Abbiamo detto di come, tra il 65 e il 71, gli Stones abbiano guadagnato, concerto dopo concerto, disco dopo disco, non solo una nomea internazionale, ma anche una cifra indescrivibile di soldi. Eppure, nel 1971, quando il governo britannico fa sapere a Jagger e compagni che hanno debiti piuttosto importanti in arretrato con il fisco, si rendono improvvisamente conto che i soldi per saldare tale debito mancano. E qui entra in gioco un altro personaggio, al nome di Allen Klein. Allen Klein è una losca figura del mondo discografico anglo-americano che, vuoi per l’ingenuità di cinque ragazzi assuefatti dalla nuova vita fatta di auto di lusso, ristoranti alla moda e ragazze a volontà, vuoi per la disonestà della figura in questione, si ritrova all’alba del 1965, grazie a giochi di contratti, ad avere il controllo totale in America dei diritti sulle composizioni firmate Jagger/Richards più un’altra ingente fetta di ricavi dai dischi venduti.
Mettete insieme Allen Klein, più le varie percentuali destinate alle etichette discografiche (London Records, ABKO records e Decca), più quella per il produttore Jimmy Miller ed ecco che ci si rende conto di quanto gli Stones siano stati economicamente spremuti. Ciononostante, all’interno di tutto questo clima di anarchia, l’addetto alla gestione degli affari fiscali degli Stones deve aver bellamente cestinato i moduli delle tasse dei tre anni precedenti perché, effettivamente, gli Stones non hanno mai sborsato mezzo penny al fisco. L’esatta dinamica degli eventi nessuno la saprà mai, fatto sta che il governo inglese, appena capisce di avere un pretesto per mettere Jagger and co. con le spalle al muro – già ci avevano provato più volte tra il 67 e il 69 con il movente delle droghe – non si lascia sfuggire la ghiotta occasione e lancia numerosi ultimatum: “o pagate con gli interessi, o andate in carcere”. Sì, peccato che gli interessi fossero al 90%! Come si fa? Semplice, si migra. E senza nemmeno tutta questa vergogna perché, parliamoci chiaro, gli Stones vivono questa esperienza decisamente più accecati dall’ira nei confronti di Klein per i soldi rubati, piuttosto che con il senso di colpa per non essere stati dei cittadini modello.

Mick Jagger e Keith Richards a Villa nel 1971. Dominique Tarlè,.

Mick Jagger e Keith Richards fotografati a Villa Nellcôte nel 1971 da Dominique Tarlè. A seguire, alcuni scatti di quel fatidico anno

Nell’aprile del 1971, dopo un ultimo triste e breve tour inglese per mettere da parte qualche soldo – non saranno più graditi in madrepatria né vi suoneranno per i due anni e mezzo successivi – fanno i bagagli e si disperdono letteralmente in giro per l’Europa per fuggire la sorte. Mick Jagger si trasferisce a Parigi con la bella Bianca, sua nuova fiamma dopo la fine della tumultuosa storia con Marianne Faithfull; Charlie Watts compra casa in una non precisata località francese nell’entroterra marsigliese; Bill Wyman girovaga qua e là per l’Europa; Mick Taylor resta in Inghilterra dato che è l’unico rolling stone non perseguitato dal fisco, essendo entrato da pochissimo in sostituzione all’appena deceduto Brian Jones; Keith Richards affitta da Aprile a Ottobre per 60 mila dollari una splendida e mastodontica villa in stile bell’epoque a Villefranche sur Mer, la famosa Villa Nellcote, ancora ignaro che questa diventerà la località dove tutti vorranno essere nei sei mesi successivi. Inizialmente gli Stones, nel loro esilio forzato, riescono anche incredibilmente a mantenere un certo low profile: d’altro canto nel sud della Francia la loro notorietà è minima. E’ tuttavia abbastanza evidente come questa situazione non sia per nulla destinata a durare. Di fatto, già a pochissime settimane dall’esilio, Mick Jagger e Bianca convolano a nozze a Saint-Tropez con una cerimonia improvvisata tutto fuorché tranquilla. Le persone presenti sono nell’ordine delle migliaia, con mezza Swingin’ London nei pressi della chiesa. Fate attenzione, quando dico “mezza Swingin’ London”, non scherzo affatto: Mick ha affittato un jet di linea per trasportare tutti da Londra a Saint-Tropez. Tanto per divertirci a fare dei nomi, al matrimonio sono presenti Paul e Linda McCartney, George Harrison e signora, Ringo Star, Eric Clapton, Steve Winwood, Ronnie Lane, Kenney Jones, Stephen Stills e, naturalmente, il resto degli Stones, i quali giurano di aver ricevuto l’invito da Mick appena 48 ore prima. I festeggiamenti durano ininterrottamente due giorni e due notti (sì, avete capito bene) all’interno di un lussuoso albergo interamente affittato dal festeggiato per l’occasione (ma mica mancavano i soldi per le tasse?!). Ora dopo ora si uniscono al banchetto sempre più facce note. Tra queste, un giovanissimo chitarrista che sta registrando con la sua band (vi dicono qualcosa i Faces?) quello che, a mio modo di vedere, diventerà l’album di spicco di tutta la sua carriera, A Nod Is As Good As a Wink… to a Blind Horse. Questo ragazzetto, che in futuro diventerà anche piuttosto amico degli Stones, risponde al nome di Ronald David “Ronnie” Wood (10 album registrati e più di 500 concerti come Rolling Stone tra il 1975 e il 2015), ma al suo arrivo a Saint-Tropez per gli Stones è ancora una semplice conoscenza, come tante altre. Giunge in albergo, gli vengono consegnate le chiavi della sua stanza e, mentre percorre il corridoio dell’albergo, una porta di un’altra camera si spalanca e due braccia lo tirano dentro: appena apre gli occhi vede davanti a sé Keith Richards, Bobby Keys e Marshall Chess che gli offrono una pista. Di bene in meglio.

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Stones e amici nella rilassata atmosfera di Villefranche sur Mer
La Pallenberg, Richards e Parson suonano in uno dei saloni della villa

Terminati i due giorni di festeggiamenti, una parte di invitati (quelli relativamente più tranquilli) se ne ritornano a Londra, tutti gli altri si spostano a Villa Nellcote ospiti di Keith. Per un paio di giorni proseguono i festeggiamenti con jam session notturne a massimo volume e festini vari. Bene, anche Villa Nellcote è ora di dominio pubblico. La voce che quella sia la nuova residenza del chitarrista degli Stones fa rapida il giro della Francia e del mondo e, terminata anche quella seconda fase di festeggiamenti, a villa ormai svuotata, ecco che sopraggiunge il nostro Dominique Tarlè. Al suo arrivo Dominique trova il cancello spalancato e la porta di casa aperta (e così vi rimarranno fino a Ottobre). Timidamente cerca di farsi riconoscere da Keith e chiede se gli è concesso fare delle foto. Keith accetta e tra i due si instaura una forte amicizia tanto che Dominique, arrivato per primo a Nellcote munito soltanto di una borsa con una macchina fotografica e un paio di spazzolini da denti, sarà anche l’ultimo a lasciare la villa, a Ottobre. Dominique Tarlè è un personaggio fondamentale del periodo Exile degli Stones. E’ grazie a lui che abbiamo testimonianza di ciò che sia realmente accaduto all’interno della villa; senza di lui, probabilmente, Villa Nellcote, l’esilio, l’affascinante genesi dell’album più importante della storia del rock ‘n’ roll sarebbero rimaste solo leggende.

A un mese dall’esilio, gli Stones non sono affatto contenti. Mick Jagger vive una vita da casalingo a Parigi, con la sua Bianca (ormai al quinto mese di gravidanza), situazione che non gli si addice affatto; Charlie Watts e Bill Wyman sono patologicamente nostalgici dell’Inghilterra e la loro nuova vita in Francia proprio non riescono a digerirla; Mick Taylor, entrato da pochi mesi nei Rolling Stones con l’entusiasmo di poter girare il mondo da palco a palco, si ritrova invece da solo a Londra in attesa di una telefonata dalla Francia per avere news sul da farsi; Keith Richards, per quanto immerso nel relax più totale con la compagna Anita Pallenberg e il figlio Marlon, ha bisogno di suonare. La soluzione è una soltanto: riunire gli Stones e registrare un album in esilio. La fase di reunion avviene abbastanza facilmente, del resto Keith non ha dovuto far altro che ospitare tutti quanti a Nellcote. Ora bisogna solo mettere insieme dei pezzi e registrarli. Sì, ma come? Nel 1971 nel Sud della Francia gli studi di registrazione scarseggiano. Mick e Keith le provano tutte: vanno ad ispezionare studi, teatri, cinema e qualunque cosa potesse anche solo lontanamente somigliare a uno studio di registrazione, nel quale poi impiantare il loro famoso studio ambulante (uno studio di registrazione mobile all’interno di un camion). Niente da fare. Nessuna delle soluzioni prese in esame soddisfano a pieno il cantante e il chitarrista. Quando tutto sembra perduto a Keith viene un’idea approvata anche da Mick: “e se registrassimo da me in cantina?”

Cosi, finalmente, all’alba di giugno, le sessioni possono cominciare, anche se i lavori proseguono molto a rilento, troppo a rilento. Da un lato, infatti, Charlie, dovendo affrontare un viaggio di oltre 4 ore per giungere a Nellcote da dove si trova lui, decide che è meglio trasferirsi definitivamente da Keith, e ciò non fa altro che aumentare il suo senso di disagio e nostalgia (in ogni intervista successiva Watts non nasconderà mai che i sei mesi a Nellcote abbiano rappresentato per lui una pessima fase della propria vita); dall’altro Mick, per assistere la moglie incinta, vive un frenetico andirivieni Parigi-Nizza che non gli permette di essere concentrato come suo solito al 100%; infine Keith Richards, che per i motivi sopracitati si ritrova per la prima volta nella vita degli Stones a ricoprire il ruolo di “direttore” dei lavori (ruolo da sempre di Mick), vive una vita parallela rispetto agli altri membri, riassumibile con i nomi di una sostanza e di una persona: eroina e Gram Parsons.

Ingram Cecil Connor III, meglio noto col nome di Gram Parsons, è un ragazzotto americano che, a soli diciotto anni, abbandona la prestigiosa e ricchissima famiglia dalla quale proviene per diventare un cantante country, obiettivo di vita piuttosto ben raggiunto, mi sento di aggiungere: dal 1963 al 1971 pubblica 4 album con tre diverse band, International Submarine Band, The Byrds e Flying Burrito Brothers in ciascuna delle quali lascia un segno indelebile del suo passaggio. Terminata l’esperienza da Flying Burrito, allontanato dal co-leader Chris Hillman a causa della sua incurabile dipendenza dall’eroina, si rifugia senza pensarci due volte a casa di Keith, con il quale aveva già instaurato negli anni dei Byrds un’amicizia fraterna. Ma c’è dell’altro. Gram, dopo esser riuscito a diventare un cantante country rispettato e rinomato, ha ora un obiettivo molto più ambizioso in testa: registrare un disco che rappresenti a pieno la sua incompresa filosofia di musica, in mezzo tra il country tradizionale di Hank Williams, il blues del Delta di Robert Johnson, il soul nero di Otis Redding e il rock’n’roll di Chuck Berry e Jerry Lee Lewis, ovvero quella che lui stesso chiama Cosmic American Music, una sintesi perfetta, quasi religiosa, tra musica bianca e musica nera. Le prime idee di un Parsons che si muove in questa direzione musicale le si intravedono nel suo primo e unico album con i Byrds, Sweetheart of the Rodeo, universalmente ritenuto come uno degli album più innovativi della storia della musica. Ma non basta. Nei Byrds infatti trova sempre meno spazio di quello che necessita per esprimere a pieno il proprio potenziale. Nei due album con i Flying Burrito Brothers invece lo spazio lo avrebbe eccome, ma una fortissima dipendenza dall’eroina lo limita un po’ dietro l’ombra del ben più carismatico Hillman. Dal canto suo Parsons sa già da tempo con chi sarebbe finalmente riuscito a registrare l’album dei suoi sogni, l’uomo adatto alle circostanze, sia per filosofia, sia per gusti musicali, sia per potenzialità discografica: Keith Richards. Lo stesso Richards non nega che lavorare con Parsons sia quanto di più illuminante si possa sperimentare nella vita e confesserà in futuro l’enorme influenza che il country man ha esercitato direttamente o indirettamente sul periodo d’oro della carriera degli Stones.

Keith Richards e Gram Parson

Keith Richards e Gram Parson

E’ con queste idee e prospettive in testa che Parsons, nel giugno del 1971, si trasferisce stabilmente a Nellcote ed è per lo stesso motivo che Richards lo accoglie a braccia aperte. I due passano insieme la gran parte delle giornate e delle nottate, in bianco, componendo, suonando e, ahimè, bucandosi. Effettivamente, per Exile, il modus operandi fin lì adottato dagli Stones viene completamente rivoluzionato. Se prima a vivere in simbiosi erano Jagger e Richards e non vi era pezzo che uscisse dalle corde della chitarra dell’uno senza che l’altro lo approvasse e, eventualmente migliorasse, adesso il duo inseparabile è appunto Richards-Parsons con un Jagger abbastanza distratto che apporta il proprio contributo singolarmente e sporadicamente. E’ sicuramente anche per questioni di gelosia che a Mick Jagger Gram Parsons non è mai stato del tutto simpatico. A pensarci è normale. Quando hai rivoluzionato il mondo con la pubblicazione di sei dischi leggendari, in ciascuno dei quali hai sempre lavorato allo stesso modo, con lo stesso collega e non deve essere piacevole se tutto d’un tratto lo stesso collega decide di cambiare partner di lavoro. Inizialmente quindi Jagger non vive bene questa situazione e ben presto si accorgerà che la situazione gli sta sempre più sfuggendo di mano. Richards e Parsons completano insieme i primi pezzi che andranno a formare l’ossatura di Exile: Sweet Virgina, Tord And Frayed e Loving Cup. A questo punto Jagger interviene pesantemente. Secondo testimonianze future, tra cui quella proprio di Dominique Tarlè, Jagger trova il modo di allontanare Parsons dalla villa, utilizzando come mezzo Anita Pallenberg e la sua paranoia da eroinomane sulla polizia che possa venire ad arrestare tutti da un momento all’altro. Sarà proprio la Pallenberg a riferire a Parsons di non essere più il benvenuto, per motivi legati alla droga. Così, senza Parsons, il duo compositivo torna a essere a tutti gli effetti quello Jagger/Richards ma ora le cose vanno diversamente. Anzitutto, Richards è profondamente convinto a portare avanti il lavoro cominciato con Parsons circa il genere di album che vuole registrare; inoltre sempre Richards appare, proprio per questo motivo, più coinvolto che mai nei lavori di composizione, registrazione, mixaggio e produzione, con grande piacere di Jagger. L’album prende una direzione ben precisa, la direzione dei sogni di Keith Richards: blues, country, rock n roll, soul e gospel immortalati insieme in un connubio dalle atmosfere toccanti. Exile On Main Street è la sintesi perfetta del mito “Rolling Stones”. Un album basato sulla fede nel blues (Shake Your Hips, Casino Boogie, Stop Breaking Down), con picchi incendiari tipicamente stoniani (Rocks Off, Happy, Soul Survivor), orge di suoni gospel (Tumbling Dice, Let It Loose) e tanto, tanto country (Sweet Virginia, Tord and Frayed, Loving Cup). Come se non bastasse, tutto ciò è condito da atmosfere grezze, ruvide e sporche che danno proprio l’idea delle circostanze in cui sono avvenute le registrazioni: per lo più di notte, con alcol a fiumi, droghe libere, ospiti che entrano e escono dalla porta principale perennemente spalancata. E’ un album non deciso a tavolino, come accade nel 99% dei casi, ma lasciato germogliare dal caso, figlio di ore e ore di jam session in una torrida cantina con un solo chiodo in testa: divertiamoci, il resto verrà. In Exile si sente la solitudine di una band abbandonata dalla madre patria, si sente la determinazione a far bene, la voglia di rivalsa, ma anche il desiderio di cimentarsi seriamente in campi musicali fino ad allora solo sperimentati. E non è un caso che l’album più rappresentativo e bello della carriera dei Rolling Stones sia anche l’ultimo veramente sconvolgente; dopo un album del genere, artisticamente parlando, non puoi che svuotarti. Exile On Main St. è l’album di Cosmic American Music che Parsons aveva sempre sognato di fare e che, da un certo punto di vista, ha effettivamente fatto perché sono sicuro che senza la conoscenza di Parsons, Exile non sarebbe mai potuto sbocciare. Sì è vero, non c’è il suo nome in copertina, e nemmeno tra i crediti (Jagger quando vuole sa essere crudele…) ma ci sono tutti i suoi insegnamenti.

Con il passare dei mesi, l’album prende una forma quasi definitiva, ma Exile On Main Street non sarà mai completato a Nellcote, bensì a Los Angeles. Con l’arrivo dell’autunno, infatti, il clima idilliaco e surreale finisce. La polizia ha dei mandati di perquisizione e si percepisce che ben presto quei mandati potrebbero diventare direttamente di arresto. La villa si svuota, come si era riempita, in pochissimi giorni anche dell’ultimo ospite, Dominique Tarlè. Le fotografie da lui scattate in quei sei mesi resteranno nascoste per più di vent’anni fino a che, negli anni 90, non verranno pubblicate in un libro fotografico intitolato “Exile” del quale Richards comprerà da solo 200 delle 250 copie della special edition da regalare a tutti coloro che, in un modo o nell’altro, sono finiti a Nellcote in quel periodo leggendario.

Quando l’album viene pubblicato, nell’Aprile del 1972, la critica lo accoglie tiepidamente. Un certo Lester Bangs scrive “Exile è l’album più presuntuoso che abbia mai sentito”. Dopo settimane e settimane, tuttavia, i pareri cambieranno. Lo stesso Bangs riscriverà

“Exile on Main Street è uscito solo 3 mesi fa e praticamente mi sono fatto venire l’ulcera e anche le emorroidi cercando di farmelo piacere in qualche modo. Alla fine ho lasciato perdere, ho scritto una recensione che era una stroncatura quasi totale e ho cercato di levarmelo dalla testa. Un paio di settimane dopo sono tornato in California, me ne sono procurato una copia per vedere se per caso era migliorato col tempo, e mi ha fatto cadere dalla sedia. Ora penso che forse sia il disco più bello degli Stones in assoluto”.

Exile è così. Ti entra nel cuore nel lungo periodo. È il corrispondente musicale di una road story che magari ti lascia deluso mentre la vivi e solo dopo qualche mese ti rendi conto che, in realtà, è stata l’esperienza più intensa della tua vita.

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Edoardo Grimaldi

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