Band #9: In Her Eye

Siamo quasi in dirittura d’arrivo e mentre pregustiamo la birra di stasera ci lasciamo trasportare dai suoni della Supersonic New Wave della nona band della nostra rassegna, In Her Eye.

Se vi state chiedendo di che genere stiamo parlando, ascoltate la loro ultima canzone!

Aldo Bernuzzi, Giuseppe Galotti, Stefano Schiavella ci avevano già portato da qualche parte fuori dal mondo con il loro primo disco, mentre adesso ci rimettono in riga, o almeno sul bordo, con il loro nuovo progetto, Borderline! Ecco l’intravista al batterista Aldo.

Aldo so che tu suoni la batteria, presentaci la band!
Io suono la batteria, Giuseppe basso e voce, Stefano la chitarra, la storia del gruppo inizia tanti anni fa perché io e Stefano abbiamo iniziata a suonare insieme quando avevamo 15 anni con un progetto chiaramente diverso, però musicalmente siamo nati insieme. La band ha avuto svariate forme prima di quella di adesso, però noi due abbiamo quasi sempre vissuto quest’esperienza insieme se non pochi momenti in cui entrambi abbiamo seguito progetti diversi. Intorno al 2005, ci siamo ritrovati e insieme a Giuseppe abbiamo formato In Her Eye. Da lì abbiamo fatto il primo disco e poi adesso ad ottobre 2015 uscirà il nostro ultimo lavoro Borderline.

Quindi nel 2005 è nato il progetto però facevate già musica da un sacco di tempo!
Non siamo più dei ragazzini. Abbiamo iniziato a suonare negli anni 90, un po’ di acqua sotto i ponti è passata.

Il vostro genere musicale che proclamate con orgoglio è “supersonic new wave”, che tipo di genere è?
Il nostro sound nasce dalla fusione di quello che sono gli anni 80 e gli anni 90, quindi una forte componente post punk e new wave. Allo stesso tempo prendiamo molto influenza dalla musica “sonica” degli anni 90, ma la portiamo nel 2000, quindi “supersonic new wave”. E’ un po’ una caratterizzazione che ci siamo inventati per darci una forma.

Dunque suonate dell'”old” in chiave “new”. Come pensi che sia portare sul palco musica che si rifà a musica di 20-30 anni fa, che dunque molto probabilmente un pubblico giovane non ha vissuto? Quale è reazione del pubblico?
L’interesse secondo me per gli anni 80 e 90 è fortissimo anche da parte dei giovani, che sono alla riscoperta di quelle sonorità tipiche di quegli anni. Dopo gli anni 90 non c’è stato un vero proprio genere che sia nato o esploso e poi successivamente cresciuto. Dal 2000 in poi c’è stato un continuo recupero delle sonorità più vecchie, quindi l’interesse verso gli anni 80-90 è comunque forte anche tra i più giovani, che grazie a noi possono cercare di rivivere e capire la musica di quegli anni.

L’aspetto degli anni 80 che ti piace di più? O che all’epoca ti piaceva?
Innanzitutto anche noi del gruppo abbiamo dovuto in qualche modo recuperare la musica anni 80 non avendo vissuto molto in quegli anni. Di quel periodo in generale ci piace molto un mix di svariate atmosfere, da una parte c’è l’influenza punk della fine degli anni 70, c’è un tipo di interesse verso un tipo di musica più sofferta ed emozionale, penso ai Cure e ai Joy Division, allo stesso c’è un interesse verso una parte più iconografica, di immagine e di “moda”. Penso dunque che la musica anni 80 sia una sintesi interessante di aspetti che tra loro sembrano in contrasto e che personalmente trovo molto affascinanti. Sintesi forse di frivolezza e depressione.

Gli anni 80 però sono anche visti come gli anni della crisi delle ideologie, delle droghe pesanti e delle crisi sociali… Quale caratteristica ti piace meno di questo periodo?
Sono abbastanza legato a quel periodo. Forse quello che mi può piacere di meno è la rilettura superficiale e più di immagine che di questi anni è stata fatta. Secondo me non furono così. Non penso sia stato un periodo superficiale perché non trovo negativo un momento di crisi e cambio di situazione.

Lasciamo stare questi aspetti di influenze e torniamo a voi. Il primo disco è del 2011, un bel po’ dopo la vostra fondazione. Perchè? Cosa significa poi il titolo “Anywhere Out Of The World”?
Allora il titolo nasce da una poesia di Baudelaire che piaceva particolarmente a Giuseppe, la mente letteraria del gruppo. Ci piaceva l’idea di qualcosa che portasse “fuori dal mondo”, out of the world, ci piaceva la possibilità di aprire gli schemi e di fare una musica che andasse oltre, anywhere. E’ un disco che riprende qualche materiale molto vecchio che è stato riarrangiato e portato nel presente; si sviluppa in un eco temporale davvero molto lungo, infatti il disco è venuto fuori molto lungo, forse troppo lungo. Quando si fa un disco, ci sono sempre modifiche o nuovi brani che si vogliono aggiungere, praticamente non si finisce mai. Noi però volevamo chiudere un periodo e iniziarne un’altro.

Anche questa è una cosa bizzarra, perché un album dall’esterno viene visto come l’inizio di una serie di eventi, perché dopo c’è il tour, etc, mentre pensandoci è la fine del processo creativo.
Il momento di pubblicazione del nostro disco è conciso con il momento di chiusura di un periodo. Dopo è tutto diverso.

Quindi come ti senti a cantare sul palco qualcosa che appartiene in parte ad un periodo passato? Come vivete questa cosa?
Noi pensiamo solo a suonare. La parte che ci dà maggiori soddisfazioni è suonare dal vivo, ci emoziona, quindi non viene meno la voglia di fare canzoni che appartengono ad un periodo passato. Arriverà il momento che ci stuferemo, ma non sarà così categorico, per ora ci piace suonare il nostro materiale.

Invece mi parli delle nuove atmosfere del nuovo album “Borderline”?
Prima di tutto Borderline è nato molto più velocemente di Anywhere Out Of The World. Abbiamo deciso abbastanza spontaneamente di rielaborare alcune cose del primo disco e renderle più assimilabili. Anche la registrazione è stata più veloce, abbiamo cercato di sgrassare, di togliere molte cose che ci avevano fatto perdere tantissimo tempo sul primo disco. Abbiamo cercato di essere più sintetici e diretti allo scopo. Ci soddisfa molto il nuovo lavoro e la strada che abbiamo preso, ci piacciono molto i testi e abbiamo visto che anche il pubblico ha recepito bene il cambio e ha gradito molto il nuovo disco

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Cosa ci porterete a Fermento Sonoro? Materiale vecchio o nuovo?
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A Fermento Sonoro porteremo fondamentalmente tutto l’ultimo lavoro più un paio di pezzi passati. Stiamo veramente suonando il più possibile i nuovi pezzi, però i brani vecchi non possiamo certo strapparceli di dosso.

A proposito di strapparsi pezzi di dosso il nome della band, In Her Eye, mi sa di qualcosa di molto fisico, da dove arriva?
Sì, diciamo che anche il nome ha la sua storia. La nostra band si chiamava Inner eye un tempo quando facevamo un genere diverso, preso da un testo di una canzone che ci piaceva all’epoca. Quando abbiamo spostato un po’ la direzione del nostro genere musicale, abbiamo sentito il bisogno di cambiare nome, però mantenere comunque un legame con il passato. Così il passaggio a In her eye, che ha una visione un po’ più romantica ed emozionale.

Progetti per il futuro? Oltre al nuovo disco ovviamente…
Stiamo già lavorato a nuovi pezzi, perché comunque Borderline è uscito ad ottobre 2014, quindi abbiamo già un paio di nuovi pezzi su cui stiamo lavorando. Di solito non programmiamo mai con grande anticipo il disco, siamo più instintivi. Potremmo anche programmare l’uscita di un disco, ma tanto comunque verrebbe fuori qualcosa di diverso. Sfortunatamente abbiamo avuto qualche stop per motivi di salute perché Giuseppe è stato operato ad una mano. Il piano è andare avanti a comporre e suonare il più possibile e soprattutto di muoverci da Milano come location per i concerti.

Perchè?
Milano è diventata particolare per quanto riguarda la scena della musica dal vivo, nel senso che c’è tanta offerta, tante band e tante serate. A parere mio è una città “musicalmente dispersiva”. La musica viene vissuta in modo superficiale, si sente più interesse per l’evento che per gli artisti che suoneranno. Le persone sono più interessate dalle location o dalle persone che frequentano certi locali. Molto volte si va ad eventi senza sapere chi suonerà. Vorremmo vedere se in altre luoghi magari un po’ più vergini la situazione è diversa.

Dove avete suonato a Milano? Dove suonerete?
Abbiamo fatto parecchi locali a Milano. Ci puoi sentire spesso in Sagrestia, o al Rock n roll.

Ultima curiosità, che lavoro fanno i paladini della supersonic new wave. Rimanete in ambito musicale?
Io lavoro in un’agenzia che organizza eventi aziendali e lavoro nel campo della comunicazione e del digital marketing, Stefano è laureato in ingegneria ed è responsabile di prodotto per un’azienda tedesca, mentre Giuseppe è un tecnico informatico e assiste gli studi notarili. Siamo persone molto diverse. Abbiamo sempre visto la musica come un di più, qualcosa che centri con la passione, piuttosto che qualcosa che riguardi il lavoro. Ci piace mantenerla in questo modo.

E se avete ancora qualche curiosità sugli In Her Eye, potete tranquillamente togliervela prima del concerto di domenica venendo questa sera a Fermento Sonoro, dove potrete ascoltare buona musica e chiacchierare con i musicisti mentre vi bevete una birra. Potrete persino parlare di digital marketing con Aldo, discorrere sull’Analisi2 con Stefano, o dei bug di Linus con Giuseppe, cosa volete di più?

Sebastiano Totta – Redazione
Giulio Bellotto – Intervista

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