Ieri alla Buca di San Vincenzo Henry Beckett si è esibito live per la seconda volta – la sua prima uscita ufficiale è stata in occasione della poetry-slam walk Cabine in via d’estinzione.
Eppure Raffaele Volpi, alias Henry, il musicista di cui stiamo parlando, non è affatto sconosciuto alle scene musicali milanesi: pur avendo dato avvio alla sua carriera musicale non molto tempo fa, negli ultimi sei mesi un fitto calendario concertistico l’ha portato ad essere apprezzato in vari locali cult di Milano, ultimi dei quali, nel mese di maggio, LeTrottoir sulla Darsena e l’apprezzato cocktail bar Opera 33.
Insieme a Carolina, al violoncello, e alla chitarra elettrica di Alessandro Scarpino, Henry ha anche registrato due bei pezzi che vi consiglio spassionatamente di ascoltare davanti a una tazza di té in un pomeriggio piovoso – o con una buona birra a Fermento Sonoro, festival su cui splenderà il sole.
Sono rispettivamente Now the streets are free, un brano riflessivo altalenante tra i suoni chiari dell’elettrica e le note profonde del cantato, e Walls un live morbido dalle sonorità sfumate che avvolgono – quasi cullano – l’orecchio.
Una produzione artistica di tutto rispetto, sopratutto da parte di un giovane interprete e cantautore; un filone di musica impegnata che deriva dagli ascolti giovanili di Raffaele e che è stata convogliata nell’esperienza dei The Beckett.
Abbiamo raggiunto Raffaele per farci spiegare com’è arrivato dai The Beckett a Henry, e che cosa comporterà questo per la sua musica.
Raffaele – Andrebbe subito detta una cosa: The Beckett c’era e ora non c’è più.
Si è trasformato, almeno nella sua definizione, proprio in queste ultime settimane. Gli eventi mi hanno portato, da cantautore di un progetto composto da più persone, a presentarmi semplicemente come Henry Beckett.
Ma allora chi è Henry?
Nonostante il nome d’arte straniero, sono un ragazzo milanese, amante della musica cantautorale americana; il musicista che puoi trovare qui e là nei locali di Milano a riempire le serate con dolci e penetranti melodie, spezzate da qualche composizione a carattere più tagliente e vicino al rock.
Quali sono i tuoi modelli nel comporre?
Da sempre mi sono ispirato ad artisti come Neil Young e soprattutto Ryan Adams, mi sono lanciato nella scommessa di portare davanti al pubblico il loro genere e i miei brani molto intimistici, emotivi e personali, spesso riguardanti il passare del tempo e il rischio di perdersi dentro attese non definite e infinite.
Quindi i The Beckett nascono dalla musica per fare musica.
Esatto, tanto che il nome The Beckett era nato proprio per queste tematiche presenti in alcuni dei miei pezzi, grazie a un’idea di un amico, Alessandro, valido chitarrista, con cui ho iniziato questo primo progetto a fine 2014 e che aveva proposto il nome durante una discussione su Waiting for Godot di Samuel Beckett.
Il progetto tuttavia non ha avuto un completo proseguo e, con lo sgretolamento di una prima completa formazione, era giunta la necessità di definirlo utilizzando un nome che lo configurasse più come cantautorale. Così, per mantenere un legame con The Beckett ho mantenuto questo cognome affiancandolo al nome di mio padre, Enrico. In questo modo è nato Henry Beckett!
E qual è il modo migliore di festeggiare una nascita, se non brindare con della buona musica in sottofondo, meglio ancora se live? E’ proprio per questo che ci teniamo ad avervi con noi a Fermento Sonoro: mi raccomando, venite a festeggiare la nuova vita di Henry Beckett!
Giulio Bellotto