
il ragionier Bianchi, di Varese. Era un rappresentante di commercio e sei giorni su sette girava l’Italia intera, a Est, a Ovest, a Sud, a Nord e in mezzo, vendendo medicinali. La domenica tornava a casa sua, e il lunedì mattina ripartiva. Ma prima che partisse la sua bambina gli diceva: – Mi raccomando, papà: tutte le sere una storia.
Perché quella bambina non poteva dormire senza una storia, e la mamma, quelle che sapeva, gliele aveva già raccontate tutte anche tre volte. Così ogni sera, dovunque si trovasse, alle nove in punto il ragionier Bianchi chiamava al telefono Varese e raccontava una storia alla sua bambina.
Così iniziano le Favole al Telefono di Gianni Rodari, che mica potevano essere tanto lunghe visto che il ragioniere pagava di tasca sua, magari con i gettoni o con la tessera telefonica.
Dal 16 Giugno, però, il ragioner Bianchi dovrà ben ingegnarsi qualora si trovi a Milano e voglia raccontare una storia alla sua bambina, infatti saranno rimosse la maggior parte delle cabine telefoniche, ormai in quasi totale disuso.
Eppure Milano, città della moda e del design, dell’Expo e dei Boschi Verticali, ha un cuore retrò e guarda già con nostalgia le cabine in via d’estinzione volendo dare loro un degno funerale. Ed è proprio “Cabine in via d’estinzione” il nome dato all’evento di commemorazione artistica organizzato dal collettivo Tempi diVersi, che si definisce “un collettivo poetico e artistico che abbraccia chi voglia valorizzare la parola e apprezzi l’interferenza di una poesia che sappia far dimenticare lo scorrere del tempo; vogliamo strappare spazi ai non luoghi e momenti al non tempo di quest’epoca; vogliamo condividere, animare e creare nuove aspettative per ciò che riguarda la poesia e l’arte di strada come veicoli basilari per la sopravvivenza culturale della città, confidando in tempi diversi”. L‘iniziativa si propone di salutare le cabine superstiti o in via di estinzione, con reading poetici, teatrali e concerti in acustico, nell’ottica che “l’arte pubblica e gratuita sia una prerogativa imprescindibile in un momento in cui la cultura si sta chiudendo sempre più su se stessa, divenendo prerogativa di università, circoli e istituzioni. Crediamo che la strada sia di chi la calpesta, e la notte di chi la vuole abitare, provando a suonare una sveglia.“. L’espressione artistica diventa per la città e della città, fondendosi nel panorama urbano e diventando una performance che coinvolge tutti.
Il nome della camminata è stato suggerito dalle parole di Alberto Dubito (1991-2012), poeta, rapper e disturbatore della quiete.
(…) Per chi vive nelle cabine telefoniche in estinzione per chi ha fatto dieci piani in caduta libera per chi si violenta i polmoni a ritmo jazz per chi ha così fame di vita che si mangia le parole per chi disturba la quiete a colpi di rullante per chi scopa l’idea di amore e forse c’ha ragione. Il vostro mondo c’è e il bisogno non si chieda perché (…)
I versi di Alberto sono potenti ed incisivi, adatti ad un evento live itinerante per la città, che fonda la sua forza sull’importanza delle parole – così ci dice Tommaso Russi, promotore di Cabine. Infatti, ritengo che l’aspetto più riuscito dell’intero progetto sia stata la riflessione innescata sul significato della parola che comunica e sul valore dell’interazione. Basta un microfono per far diventare vive le parole scritte e fare sì che raggiungano le orecchie dei passanti, che si chiedono “Che cosa stanno leggendo?”, “Di chi stanno parlando?”; ed è l’attenzione e l’interesse dell’ascolto a dare peso alle parole. Il punto è proprio questo, ricordare le cabine perché ogni frase aveva un valore e l’ascolto era fondamentale, d’altronde non era mica detto che chi chiamava avesse abbastanza tempo per ripetere o per fare una seconda telefonata.
Con ciò non voglio essere troppo nostalgica, né auspicare il ritorno dei piccioni viaggiatori, né non voglio cadere nel luogo comune “si stava meglio prima”, ma solo esplorare la significatività del parlare e dell’ascoltare; forse al giorno d’oggi questi due elementi non trovano più posto nelle telecomunicazioni, illimitate, immediate e che noi cerchiamo di far diventare sempre più sintetiche, ma cercano nuovi luoghi e mezzi per esprimersi. E perché non far sì che questi mezzi diventino l’arte, la musica e la poesia?
Così Milano saluta le sue cabine facendo loro parlare il linguaggio della creatività, che non ha lo scopo di valorizzare l’oggetto in sé, ma di dargli possibili nuovi significati e stimoli a nuove riflessioni. Noi cittadini non possiamo che ascoltare con crescente curiosità.
Valentina Villa
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