Due parole e due pareri su “O.z. Storia di un’emigrazione”

Dorothy è ancora una bambina. E’ allegra, vivace, viziata.
La nave da crociera su cui viaggia con gli zii naufraga. Dorothy si ritrova catapultata in una realtà mai vista prima, un nuovo paese tanto bello alla vista quanto ostile.
Dorothy vorrebbe tornare a casa ma è sola, eccetto per tre amici incontrati lungo la strada verso Oz, un luogo di speranza, culla di culture, ponte tra i popoli.
Con loro, una spaventapasseri, un robot e un soldato che di nome di battaglia fa Leone, si mette in viaggio verso l’utopia di cambiare la propria vita.
Ma O.Z. è una finzione. O.Z. è solo una delle tante “Lampedusa” dei nostri giorni.

Un momento dello spettacolo

Un momento dello spettacolo

Questo è il materiale da cui la compagnia Eco di fondo è partita per raccontare l’epopea dei migranti ai nostri giorni, utilizzando metaforicamente il celebre romanzo per l’infanzia di L. Frank Baum, Il mago di Oz.
In questi primi giorni di maggio, abbiamo avuto il piacere di osservare il risultato del loro lavoro in due occasioni: l’anteprima nazionale, resa possibile dal Progetto Residenza LAB121, e la prima replica milanese è arrivata pochi giorni dopo ad inaugurare la XXVI edizione del festival Segnali, dedicato al Teatro Ragazzi.
Questi due momenti ci hanno restituito diverse impressioni che abbiamo deciso di presentarvi in questa “duplice recensione” a quattro mani.

2 maggio, LAB121:
Una delle storie delle tante emigrazioni che dall’inizio del pianeta ad oggi animali ed esseri umani si sono ritrovati a vivere.
Una regia sperimentale a tratti cinematografica accompagna uno spettacolo ben costruito che si avvale di attori decisamente espressivi e sincroni allo stile che impregna l’opera, giocata a livello interpretativo sul mimo – espediente ricorrente nel trattare il tema delle migrazioni. E’ però proprio quest’ultimo, lo stile fiabesco e semplicistico del linguaggio scelto del regista e nel quale gli attori sembrano sguazzare con armonia che toglie forza alla grandezza del tema portante e dei microtemi delle grandi passioni e contraddizioni dell’umano. Un inizio alla Lynch, degno di Cuore Selvaggio, con tanto di citazione e siparietti ripresi solo a tratti nei rari momenti in cui il gusto dell’onirico, la sua natura inquietante, venivano a dare sostegno e spessore; questi elementi potevano dare corpo alla complessità che la compagnia ha cercato di portare sul palco ma la regia ha preferito i toni del perbenismo, della commedia e dell’esplicito degni più di un tentativo di sensibilizzazione sociale rispetto ad un tema fattosi caldo e controverso nell’attualità, che non di una grande opera d’arte.

Eliana Cianci

6 maggio, Teatro Verdi (festival Segnali):
Giulia Viana, interprete e drammaturga, e Giacomo Ferraù, drammaturgo e regista, ci presentano il paradosso di un viaggio immobile e mimato che si svolge nell’angusto spazio teatrale, specchio e restituzione della cruda realtà. Non c’è lieto fine nella loro rilettura del grande classico americano per l’infanzia, né mancano momenti di tensione al limite del romanzo “di paura”; eppure una nota positiva risuona nelle parole di Dorothy, maturata grazie all’esperienza che ha vissuto e ora pronta a testimoniarla, a denunciare il mondo dei suoi zii e di chi volta lo sguardo di fronte alla miseria per paura della diversità. Per questo, O.z. ricade nella grande categoria dei racconti di formazione, costante riferimento di generazioni di bambini dall’800 ad oggi.
In uno spettacolo tanto denso di riferimenti cinematografici, il topos del naufragio richiama il benpensante Giordana di Quando sei nato non puoi più nasconderti e ricorda il ruvido Kipling di Capitani coraggiosi, la nuova consapevolezza di Dorothy diventa pop quanto la redenzione di Cutzco in Le follie dell’imperatore, il Leone sembra il Sgt. Hartman e l’Uomo di latta è assolutamente C-3PO.
Anche la lezione del teatro fisico di Brie è ben riconoscibile, appresa a dovere e ben riproposta dagli attori Pinna, Stelluti e Scuderi; e se anche i registri stilistici non sempre si armonizzano, altalenando tra l’ironia, la tragedia e il sentimentale,  l’impressione è un caos narrativamente organizzato. Il maggior elemento di coesione è comunque offerto dai simboli di cui lo spettacolo è disseminato: l’acquario, il mare, il confine, il sentiero dorato, le scarpe rosse… Un po’ come quel bell’episodio di Scrubs, non so se lo ricordate:

Si può dire che anche l’O.z. di Eco di fondo, coerente col suo impianto cinematografico, scada nell’errore di tutti gli schermi, grandi o piccoli che siano: la tendenza alle semplificazioni. Ma si può affermare con altrettanta certezza che ne condivide anche la più grande forza, il suo messaggio di solidarietà e rispetto arriva chiaro e potente, come in una favola.

Giulio Bellotto

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