Con oggi, cari lettori, voglio scostarmi momentaneamente dal cinema di cui abitualmente scrivo per raccontarvi altre vicende a me care e di cui son sempre stato appassionato.
Son stato cresciuto da mio padre nel mito di O Rey e Maradona, più che, come la maggior parte dei miei coetanei, nel mito del grande Ronaldo.
Il calcio di oggi è ovviamente diverso: si segnano più goal, si gioca un calcio più veloce e spettacolare, ma certe personalità che il passato ha visto non le si trovano più.
In ogni era calcistica c’è stato un campione che è riuscito adessere simbolo dei suoi anni; se pensiamo agli anni’ 50, pensiamo a Puskas, se pensiamo anni ’60 a Pelè (e a metà tra gli anni’50 e ’60, a Di Stefano), se pensiamo agli anni ’80 a Maradona, in mezzo (ma sopra) a Platini, Zico, Van Basten, e così via.
Tuttavia ci son stati momenti, come quello che stiamo vivendo in questi anni, in cui non vi è un personaggio che si eleva così decisamente sugli altri, ma si creano rivalità tra personalità diverse, spesso anzi contrapposte.
Tra queste, una delle più accese, è senza dubbio stata quella tra il “Kaiser” Franz Beckenbauer, capitano del Bayern Monaco e della nazionale di calcio della Germania dell’Ovest, e Johan Cruijff – “Pelè Bianco”, “Olandese Volante” o, come in un documentario di Sandro Ciotti, “Il Profeta del Gol” – capitano dei Lancieri di Amsterdam e degli Orange del calcio totale.
Questo scontro vede il suo culmine nel 1974, quando i due campioni si scontrano nella finale dei mondiali di calcio, a Monaco, in casa dei tedeschi, nell’Olympiastadion, costruito due anni prima per le tristemente famose Olimpiadi dell’attentato terroristico contro gli atleti israeliani.
Franz Beckenbauer è stato, assieme a davvero pochi nella storia, uno dei casi rari di difensori a vincere il pallone d’oro, nel 1972 e nel 1976; la sua carriera calcistica è una delle più vincenti ed avvincenti nella storia: ha già disputato la finale del ’66, persa contro l’Inghilterra, ed è stato uno dei protagonisti della la semifinale del mondiale di Messico ’70 – la “Partita del Secolo” – contro l’Italia (dove lo ricordiamo, eroico, con un braccio fasciato per via di una lussazione alla spalla procuratasi in uno scontro con Cera).
La sfortuna sembra sin lì aver perseguitato i poveri tedeschi, che però hanno appena vinto, quasi con la stessa formazione del mondiale messicano, il campionato d’Europa del 1972 e, come campioni continentali, affrontano il mondiale in casa.
Beckenbauer, ha vinto anche, oltre agli svariati campionati tedeschi, anche 3 coppe dei campioni di fila, dal ’74 al ’76, ed è stato l’allenatore della Germania vincitrice del Mondiale in Italia nel ’90.
Chapeau insomma!
Possiamo tranquillamente dire che Franz non abbia alcun rimpianto.
Cruijff invece è ritenuto, dopo Pelè e Maradona, uno dei più grandi talenti mai visti nella storia del calcio, forse il più grande, sicuramente uno dei più temuti.
Figlio di una inserviente della lavanderia dell’Ajax, il giovane Johan si fa notare dal grande calcio internazionale per la prima volta nel ’69, arrivando con i Lancieri in finale contro il Milan di Rocco, che vincerà 4 a 1 e vedrà il proprio regista, il grande Gianni Rivera, vincere il pallone d’oro.
L’Ajax probabilmente era ancora troppo giovane; non passerà però molto tempo prima che si affermi come forza europea incontrastata, vincendo dal ’71 al’73 tre Coppe dei Campioni di fila, una contro il Panathenaicos, allenati dal mitico Ferenc Puskas, una contro l’Inter, e l’ultima contro la Juventus (povere italiane!).
Dopo tutti questi trofei, proprio nel 1974 il campione Olandese si trasferisce a Barcellona, e la sua uscita dalla squadra si nota: persa la sua chiave di volta, l’Ajax non riesce più a ripetere i grandi successi, passando il testimone proprio al Bayern di Beckenbauer.
I due campioni non si sono quasi mai incontrati.
È forse un caso che ciò avvenga proprio nella finale dei mondiali di quell’anno?
Io non penso … La storia – anche quella calcistica – ha disegni che a noi sembrano imperscrutabili, ma che rispondono invece a logiche ineluttabili.
La nazionale Olandese è alla prima apparizione al campionato mondiale e si presenta come diretta contendente al titolo, con, in panchina, Rinus Michels.
Ha condotto l’Ajax alla vittoria nella Coppa dei Campioni nel ’71 e poi condurrà gli olandesi a conquistare l’Europeo, con Van Basten al centro dell’attacco, nell’88.
Michels è ritenuto l’allenatore del secolo, uno dei più grandi promotori del cosiddetto calcio totale.
È un innovatore, un visionario, insomma, un rivoluzionario.
L’Olanda, in Germania, insomma non solo porta un calcio nuovo e spettacolare, dove la squadra si muove a zona e non si marca a uomo, dove si corre di più e si attacca e si difende tutti insieme (un calcio molto simile a quello odierno), ma scardina anche molte delle tradizioni nazionali, ad esempio quella dei numeri di maglia.
Cruijff, che infatti non indossa, come tutti i grandi campioni del suo ruolo, il mitico 10, ma ha il 14 (che da lì in poi diventa anche un simbolo), è l’interprete perfetto di tale concezione di calcio: un Di Stefano 15 anni dopo, che corre, ancora più veloce, spaziando su tutto il fronte centrale e d’attacco!
Ma l’Olanda è una novellina al mondiale, dove, come si sa, contano moltissimo tradizione ed esperienza … e l’Olanda non ne ha.
La Germania invece, allenata da Helmut Schön, è costruita sul blocco del Bayern Monaco, che ha appena vinto la Coppa dei Campioni, contro l’Atletico Madrid, succedendo proprio alla squadra di Cruijff: ha già sulla maglia una stella, vinta nel ’54 contro i grandi magiari di Puskas, e ha ormai moltissima esperienza internazionale, visti anche i risultati raggiunti negli ultimi due mondiali (finale e semifinale).
Non è dunque un semplice scontro tra i due più grandi campioni degli anni’70 (dal ’71 al ‘76 i due si spartirono 5 palloni d’oro, quando ancora l’assegnazione avveniva sulla base del merito, 3 all’olandese e, come già detto, 2 al tedesco), ma è un confronto ideologico tra due filosofie calcistiche; quella del calcio totale, che era ritenuto quasi infallibile e che sino alla semifinale aveva incantato tutti e messo tutti in difficoltà (compreso il Brasile, campione del Mondo in carica, pressoché umiliato in semifinale, assai più di quanto il 2 a 0 finale a favore degli Olandesi non dica) e quella di un calcio più tradizionale, che invece si rivelò vincente.
La finale inizia “col botto”.
Dopo appena un minuto di gioco Cruijff, che ha scartato praticamente mezza formazione tedesca, viene atterrato in area di rigore.
È il gol più veloce del mondiale: il rigore è tirato da Neeskens e, dopo appena due minuti, l’Olanda è già avanti.
Forse questo gol è arrivato troppo presto; gli Olandesi, nella sicurezza di poter controllare la partita, perdono il propulsore dei motori e, alla fine, perdono 2 a 1.
Mai sottovalutare la Germania!
Sia nel ’54 che nel ’74, le squadre più forti, che hanno entrambe caratterizzato le loro epoche e portato innovazioni fondamentali (l’Ungheria di Puskas introdusse, ricordiamolo, il centravanti di manovra), hanno perso in finale, entrambe contro la Germania … ed anche questo non penso sia un caso.
Lineker, il centravanti dell’Inghilterra della seconda metà degli anni ’80, nel ’90, disse: “cos’è il calcio? 22 uomini corrono dietro ad un pallone e poi … vince la Germania”.
Penso che questo sia stato il pensiero di Cruijff dopo la finale, vedendo il suo sogno, quello della Coppa del Mondo, svanire.
Nonostante la vittoria della Coppa dei Campioni e del Mondiale, Beckenbauer non si aggiudicò quell’anno il pallone d’oro, che fu dato ancora Cruijff, soprattutto per essere stato l’uomo del mondiale (i canoni di assegnazione del premio, ahimè, sono totalmente cambiai).
Entrambi hanno continuato brillantemente la loro carriera da allenatori e tutt’ora sono presidenti onorari uno del Bayern, l’altro di Ajax e Barcellona.
La loro influenza sul calcio mondiale non si esaurirà mai e rimarranno sempre due icone immortali, non solo per le loro doti tecniche, ma anche per la loro capacità di trascinare le proprie squadre, qualità che non deve mai mancare in un vero Campione.
Li ricorderemo sempre: Franz col braccio fasciato che cerca di arginare “Rombo di Tuono” all’Azteca il 17 giugno 1970; Johan col braccio alzato ad indicare dove arriverà il pallone che sta per lanciare!
Tommaso Frangini