La concentrata ed intensa mostra dedicata a Medardo Rosso (1858–1928) dalla Galleria di Arte Moderna di Milano è un’ottima occasione per riscoprire quello che fu un grande ispiratore delle avanguardie storiche, un faro per le correnti poveriste degli anni ’60 e un maestro tuttora apprezzatissimo da molti artisti contemporanei. Medardo, torinese di nascita, milanese d’educazione e parigino d’adozione, d’altronde, è la personificazione stessa della rivoluzione artistica novecentesca: lo scultore che, nato nell’ambiente del verismo sociale e scapigliato fine ottocentesco, apre il novecento della sperimentazione. La sua violenta svolta stilistica è peraltro già profetizzata dal suo carattere per certi versi bellicoso. La sua caparbietà lo condusse, infatti, il 29 marzo 1883 all’espulsione dall’Accademia di Brera per indisciplina, dopo essersi messo a capo di una protesta che richiedeva mutamenti negli orari della Scuola di Nudo e lamentava la mancanza di preparati anatomici da copiare. Ma forse anche l’aver picchiato un compagno, reo di non aver firmato l’appello di protesta, produsse una risonanza negativa sulla decisione dell’Accademia. Con lo stesso spirito, nel 1885, registrò all’anagrafe il figlio Francesco Luigi Domenico con il nome di Francesco Evviva Ribelle.
Aldilà del temperamento di Rosso, la sua poetica si dichiara con fervore in seguito ad un episodio accaduto nello stesso 1883, in un’aula dell’Accademia di Brera, quando, osservando le ombre lasciate da alcuni studenti di passaggio sul pavimento, gli si rivela la materialità della luce e dell’ombra, ma soprattutto la fugacità dell’essere. L’interesse dell’artista diviene, dunque, quello di catturare un attimo, non fotografico, ma filtrato dalla memoria. La sua scultura si può, quindi, definire come un monumento alla memoria dell’attimo. È proprio il ricordo, in questa continua resistenza dialettica con il tempo che scolpisce la materia, estraendo la forma dall’indefinitezza che la circonda. I volti di Medardo, così, sono colti timidamente dalla corrente che trascina le cose del mondo, mai strappati imperativamente, tanto che la stessa corrente sembra ancora lievemente avvolgerli.
La vita di Medardo è, per certi versi, quella di un isolato, allontanato sia dalla critica ufficiale francese che propendeva per Rodin, alfiere della nazione, con il quale l’italiano ebbe diversi screzi, sia da quella italiana che solo tardi gli perdonerà il suo espatrio a Parigi. Ed è proprio a Parigi, nel 1896, che il silenzioso rivoluzionario creerà la sua opera più audace e più pura, la Madame X. Questa non è più nemmeno il ritratto di qualcuno, è risultato della più totale astrazione. La Madame X ha come parenti più stretti le teste di Modigliani e la Musa Addormentata di Brancusi, opere del 1910, concepite e realizzate quasi quindici anni in ritardo rispetto al volto di Rosso.
La fine lo raggiungerà nel 1928, per setticemia in seguito alle gravi ferite riportate a un piede per la frantumazione di lastre fotografiche in vetro. Sulla tomba l’epigrafe: “Fine di una vita e principio di un’arte”. La mostra alla GAM, nata dalla collaborazione della Galleria milanese con il Museo Rosso di Barzio, e da una serie di prestiti nazionali e internazionali (tra i quali il Musée d’Orsay di Parigi, lo Staatliche Kunstammlungen di Dresda e il Szepmuveszeti Muzeum di Budapest), durerà fino al 30 maggio 2015.
Bernardo Follini