È difficile dire se la classica frase del classico turista: “C’è proprio poco da vedere a Milano, contribuisca di più a mettere in ridicolo chi la pronuncia o a rendere onore alla gloria dell’Italia. […] Milano può sembrare poco interessante in confronto ad altre città italiane solo un’osservazione affrettata.
Parola di Edith Wharton, scrittrice americana che nel 1905 visita Milano realizzando all’ombra della Madonnina che un viaggio alla scoperta di una città che non passa solo attraverso la visita dei tanti monumenti “ma è piuttosto negli intervalli tra questo sistematico studio del passato, nella parentesi del viaggio, che il viaggiatore cattura quegli sguardi più profondi che lo aiutano a comporre l’immagine di ogni città e a preservarne la personalità nella sua mente“.
Quel che è certo è che il fascino discreto di questa città non è sfuggito solo ai viaggiatori che l’hanno visitata nel tempo. E’ un dato di fatto che sia sfuggito, e continui a sfuggire, a molti di coloro che la abitano. Le viuzze medievali, i trivi che sembrano intersecarsi con il precipuo scopo di smarrire ogni viandante, le chiese e i cortili dei palazzi signorili del centro, le coorti dei navigli, i giardini pensili incassati nei quartieri nuovi; tutto ciò Milano non lo concede facilmente.
Ammirare il Duomo, simbolo per eccellenza di Milano, può colpire l’occhio.
Mark Twain arrivò a dirne: “E’ la prima cosa che cerchi quando ti alzi al mattino e l’ultima su cui lo sguardo si posa la sera. E ancora dicono che il duomo di Milano venga solo dopo San Pietro a Roma. Non riesco a capire come possa essere secondo a qualsiasi altra opera eseguita dalla mano dell’uomo”.
Percy Bysshe Shelley la descrisse romanticamente come “fatta di marmo bianco tagliata a pinnacoli di immensa altezza lavorati con la massima delicatezza e carica di sculture. Il suo effetto, quando si staglia con le sue guglia abbaglianti sulla serena profondità del cielo italiano o alla luce lunare, quando le stelle sembrano raccogliersi tra quelle sagome è superiore a qualsiasi altra opera che io credevo possibile produrre in architettura”.
Eppure è ben più interessante osservare il lavorio, sommesso e quasi segreto, che si svolge quotidianamente sotto l’ombra della Madonnina scandito dalla canzone che Giovanni D’Anzi compose nel 1934. In pieno boom economico lo spirito d’iniziativa meneghino, così profondamente italiano eppure quasi rivolto al protestantesimo dei “pitocchi” olandesi, innalzava un’altra opera avveniristica: la Torre Velasca, che ancora oggi infiamma gli animi di esteti del calibro di Philippe Daverio e Vittorio Sgarbi – per il primo si tratta di un assoluto capolavoro, il secondo la giudica “il paradigma della civiltà dell’orrore”. Come la Torre, anche Milano può piacere o non piacere, ma come ci ricorda il giornalista Beppe Severgnini “non bisogna credere che il capoluogo lombardo voglia gareggiare con altre città d’Italia in bellezze rinascimentali. Invece è orgoglioso dei suoi angoli strambi, dei suoi portoni, dei suoi cortili irregolari, dei suoi palazzi dove qualche incosciente vorrebbe sostituire il portiere con un citofono.”
In ogni caso è certo che sotto questa skyline così composita di storia e innovazione, di Duomo e Pirellone e Isozaki e Branca e Cesar Pelli e Bosco verticale, qualcosa sta succedendo. Al di là dell’Expo e dei suoi ritardi, delle classifiche che lasciano il tempo che trovano, del turismo in crisi, proprio ieri sono arrivate due notizie che giudicherei piuttosto importanti per Milano e per i milanesi.
La prima riguarda la vivibilità della città, che tradotto significa mobilità cittadina. ATM, dunque, e sono quasi spaventato nel dirlo dal momento che questa sigla evoca in tutti noi spaventosi echi di ritardi, scioperi e affannose corse contro il tempo per raggiungere la pensilina prima dell’irrevocabile sentenza: le porte dell’autobus si sono chiuse e tocca aspettare il prossimo.
Ebbene, il quotidiano principe di ogni linea metropolitana (compresa la M4 in prossima apertura) ci annuncia con orgoglio che da oggi il biglietto dei mezzi pubblici di Milano – checché se ne dica, tra i meno cari d’Europa – si potrà acquistare anche tramite sms. Evento rivoluzionario, almeno a sentire i commenti entusiasti degli utenti. Però di rivoluzione se n’era già parlato quando Pisapia aveva innalzato di mezzo euro il costo di ogni corsa: allora tutti hanno scelto di continuare a viaggiare senza, chissà ora se la rivoluzione è più vicina.
Ma passiamo ad altro: la seconda notizia di ieri, di ben diversa portata, riguarda proprio il sindaco arancione. Nel 2016 Pisapia non si ricandiderà.
Annuncio inatteso e composto, fatto con grande stile e questo bisogna riconoscerlo. Jeans e maglione color tortora, voce come al solito pacata, nulla a che spartire con i modi ed i tailleur del precedente sindaco . Questa novità rischia però di avere gravi conseguenze negli equilibri di potere locali: c’è chi si è già candidato, con un anno di anticipo e l’assurda pretesa di andare subito al voto. Ma parliamo di Salvini, quindi nessuna sorpresa.
Ciò che invece è sorprendente è la lucidità del discorso di Pisapia – che non ha detto addio alla politica, sia chiaro, ma ha coerentemente esposto una dichiarazioni di intenti. Pensate un po’, sono gli stessi intenti della campagna elettorale del 2011!
Accorgermi che questo fatto sconvolgente nel panorama politico italiano è in realtà alla base della democrazia mi ha fatto girare la testa.
“Ho sempre detto che avrei fatto un solo mandato – ha detto Pisapia – anche perché volevo che a Milano crescesse una classe dirigente di sinistra capace di governare la città” e la comunicazione ufficiale è venuta oggi “proprio per dare il tempo perché ci si ricompatti”. Un candidato che espone ai cittadini un progetto ideologico e politico ed eletto lo realizza con azioni e parole è praticamente una chimera.
O meglio una scrofa semilanuta, l’animale mitico da cui proviene il nome latino di Milano, Mediolanum.
Ed è bello che proprio dalla moderna Mediolanum venga lanciato all’Urbe ed ai suoi palazzi questo importante monito: “La politica è un servizio e deve essere un modo per mettersi a disposizione”.
Dunque, concittadini, preparatevi alle elezioni del 2016: questa preziosa eredità non può certo andare perduta!
Giulio Bellotto