Day: 7 dicembre 2014

Le conclusioni

“Ogni festival teatrale è un collettore di energie, ed è bello sapere che queste energie non andranno perdute ma troveranno una loro collocazione presso un istituzione come il Piccolo Teatro. Seguire questa manifestazione è stato una grandissima gioia, scriverne un piacere, poter collaborare alla sua riuscita un onore”
– dall’intervento di Giulio, redattore del Bloggo, in rappresentanza della giuria critica alla premiazione di Play Festival 2.0 .

Eccoci giunti al termine di questa impegnativa ma gratificante settimana di Play Festival. La giuria si è riunita e ha deliberato sugli spettacoli:

1. Odemà: “A tua immagine”, con la seguente motivazione:
“Arguto e divertente. Grottesco ben giocato senza scivolare nel comico gratuito e senza sbavature, godibile. Ottima mescolanza e alternanza di registri espressivi. Oltre a un poderoso lavoro drammaturgico e a una regia mai scontata né banale. Un’encomiabile prova degli attori su voce, mimica e corpo. Un po’ bottega, un po’ avanspettacolo teologico per una caleidoscopica lanterna magica che convince e avvince”

Gli Odemà Davide Gorla e Giulia D'Imperio sul palco del Ringhiera insieme a Serena Sinigaglia

Gli Odemà Davide Gorla e Giulia D’Imperio sul palco del Ringhiera insieme a Serena Sinigaglia

A seguire sul podio:
2. Manimotò: “Tomato Soap”
3. Carullo-Minasi: “Due passi sono…”

E per amor di completezza, ecco la classifica completa:
4. Borgobonò: “In ogni caso nessun rimorso…”
5. IF Prana: “R…esistere. 13 buoni motivi per non suicidarsi”
6. Maledirezioni: “Falene. Omaggio a Virginia Wolf”
7. Teatro MA | Compagnia delle Furie: “Harvest. Quanto costa un uomo al chilo”
8. La Ballata dei Lenna: “Cantare all’amore”
9. Gli Artimanti: “L’Amante”
9 (ex aequo). Collectif Faim de Loup: “Migrazioni”
10. Piano in Bilico: “Rimini ailoveioù”
11.DoveComeQuando: “Italia libre”

“A tua immagine”, il vincitore di quest’edizione del concorso, andrà in scena con due repliche nella prossima stagione del Piccolo Teatro. A loro i nostri migliori auguri!
A tutti gli altri, colleghi giurati, pubblico, tecnici e organizzazione dell’Atir che hanno reso possibile l’iniziativa, un sincero grazie!

I corrispondenti del Bloggo per Play Festival 2.0,
Giulio Bellotto, Eliana Cianci e Valentina Villa

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Tomato Soap

Un gioco di ruoli che racconta con leggerezza, ma con ritmi eccessivamente dilatati, una storia di violenza domestica. L’argomento è sensibile ed è troppo facile scadere nel cliché, come avviene in alcuni quadri. La musica, presenza costante, non aiuta a rendere il tutto più fluido e inoltre l’instaurarsi della violenza viene riproposto in modo (stereo)tipico in una coppia di pupazzi, Gianni e Gilda. Indossati dagli interpreti/performer che li animano in una semi-muta coreografia espressiva e comprensibile i due si innamorano, si sposano e danno vita a una tragedia annunciata.

L’ espediente più interessante che spezza la simmetria dei ruoli è la scelta di far vestire i panni di Gianni all’attrice Ariela Maggi e di Gina dal suo partner maschile Giulio Canestrelli. L’effetto è comico, talvolta grottesco, ma con il procedere della vicenda il conflitto drammatico emerge coinvolgendo gli stessi attori in un gioco delle parti in cui i genieri si trasfigurano. L’unica protagonista è l’attitudine all’aggressività che a più riprese serpeggia in scena infettando i tradizionali simboli di un amore felice, come le rose rosse e il bambino-fantoccio frutto dell’unione romantica. Questi oggetti diventano, invece, contorno e raffigurazione della storia di sangue evocata sul palco.

Valentina Villa

Rimini ailoviù. Racconti dalla provincia

Un racconto a episodi che sa di inconcluso svapora la provincia, nello specifico la cittadina di Rimini, in buoni sentimenti e retorica assortita.

I quadri filmici di una vita fittizia costruita attraverso immagini, stereotipi e monologhi poco incisivi non riescono a dare l’immagine di una terra madre ma piuttosto dipingono un paesaggio, è il caso di dirlo, tipicamente adriatico in cui un mare di parole dal colore e dal significato incerto fluiscono confondendo il pubblico.

I due filoni su cui prosegue lo spettacolo, gli inserti video e l’interpretazione delle pur brave Tamara Balducci e Linda Gennari, non dialogano e ciò pesa sulla riuscita di un’operazione di “recupero della memoria cittadina, di una minima epopea umana fatta di ritratti, tenerezza, esistenze comuni e sensibilità”. Non si vede quasi nulla di quanto annunciato dalle note di regia di cui vi abbiamo proposti un breve passo; piuttosto sembra che né la drammaturgia né tanto mento la sua messa in scena siano in grado di superare una superficialità ed un gusto retrò-naif che sono piuttosto la cifra di una certa modernità televisiva.

Giulio Bellotto

Noi, spettatori del Piccolo

Mentre mi scapicollo per cercare di raggiungere in tempo il Teatro Ringhiera, dove tra un quarto d’ora inizieranno le procedure di voto per decretare il vincitore di quest’edizione di Play Festival, penso a due cose.
La prima è che non mi ricordo se ho preso le chiavi di casa. Merda! Ah, no, eccole qui..
Il secondo pensiero, di gran lunga più profondo e importante – anche se rimanere chiuso fuori di casa sarebbe stata una seccatura non da poco – è che il teatro è impegnativo.
Ovviamente è un impegno, anzi un lavoro, per gli operatori che fanno il teatro, quello bello come quello brutto: attori, tecnici, scenografi, registi, assistenti, drammaturghi; collaborano tutti quanti alla nascita di un processo davvero complesso che a volte riesce e a volte non riesce. Non è certo una scienza esatta e questo è sempre bene ricordarlo quando si tratta di valutare uno spettacolo, ovvero incasellarlo in una griglia di giudizio che per forza di cose è soggettiva anche quando vorrebbe avere la pretesa dell’oggettività. Come giurati tra poco voteremo non lo spettacolo migliore, ma quello che ci è piaciuto di più, a nostro modesto giudizio, ciascuno secondo la propria sensibilità.
Ma il teatro è un’impegno anche per gli spettatori, un investimento di tempo e denaro che non viene certo incentivato dalla società.
“Stasera veni a bere / a ballare / a drogarti con noi?”
“No mi spiace, stasera vado a teatro..”
“Ma che palle, sempre a teatro sei!”
Insomma, è una vita difficile quella dello spettatore, considerato anche il fatto che chi va a teatro non ha quasi mai il controllo su quello che sta per vedere né sul sistema che ha prodotto quel risultato.
Per questo quando c’è la possibilità che il pubblico partecipi alla programmazione della stagione di un teatro stabile dell’importanza del Piccolo di Milano, non è concesso lasciarsela sfuggire.
Per questo io vado al Ringhiera. Per questo Play Festival è importante.
Per questo la prossima stagione è nostra!

#iovadoalringhieraperchè

In posa per ribadire il concetto

Giulio Bellotto

L’amante

Nel confrontarsi con il più classico dei testi di un maestro come Harold Pinter, nel 1962 autore de “L’amante”, gli Artimanti non peccano certo di imperizia. Anzi dimostrano una perfetta padronanza sia del testo, adattato e qua e là sfrondato senza penalizzarne la coerenza o tradirne il significato, sia dei linguaggi teatrali. La scenografia basata sul contrasto cromatico di bianco e di nero, richiamati anche nei costumi, è pulita e gradevole senza essere eccessivamente minimalista o poco funzionale.
La regia sa dosare luci, musiche, entrate ed uscite in un connubio pressoché perfetto e comunque magistralmente diretto.
L’interpretazione è efficace, precisa e si avvale delle indubbie capacità canore dell’attrice Carlotta Mangione e della verve di Massimiliano Aceti, capaci entrambi di passare con disinvoltura e spigliatezza dai panni del marito a quelli amante e dall’abito di moglie a quello succinto della puttana, dando vita e portando fino in fondo quel delizioso gioco delle parti che è l’essenza del testo pinteriano.
L’intero spettacolo è conciso e costruito con grande sapienza, coinvolgente e perfino emozionante a tratti.

Insomma, stiamo parlando di una piccola gemma e questo non può che farci davvero piacere.
Però – sì, c’è un però – a margine di quest’analisi che sarebbe evidente anche a chi venerdì fosse capitato per caso nella sala del Ringhiera senza essere mai entrato prima in un teatro, ci chiediamo quale sia il fine di una messa in scena del genere, che nulla di nuovo apporta a Pinter e si limita a traghettarlo su un palco. Si tratta forse di un’operazione un po’ fuori contesto, considerato che Play Festival è una vetrina per nuove idee in cerca di visibilità e riconoscimento, che ha ospitato in quest’edizione alcune riscritture. Senonché gli Artimanti ci propongono un adattamento piuttosto pedissequo – senza che in ciò ci sia nulla di male, di per se’.
Ma qui l’impressione è che una gemma perfettamente sagomata non c’entri molto in questa vetrina di bijoux forse meno preziosi ma ben più originali ed innovativi.

Giulio Bellotto

Due passi sono

Il Ringhiera diventa palco dell’esistenza di due piccoli esseri umani, interpretati con abilità e grazia dalla coppia Carullo-Minasi. Capaci di sfumare i contorni di questi enigmatici e sofferenti personaggi impegnati in un eterno dialogo filosofico sul senso del vivere, gli attori riescono a riempire l’intero spazio scenico pur utilizzandone una minuscola porzione. Un quadrato piastrellato di bianco e di nero rappresenta la stanza in cui il duo, tenero e goffo nel trascorrere una giornata di grottesca routine, si nasconde sempre più a fondo nel loro mistero di vita. Finché, pur ridotti in uno spazio sempre più stretto, dall’arredamento vistoso ma essenziale, decidono di uscire e compiere un metaforico “balzo” per uscire dalla loro caverna e vedere finalmente la luce del sole.

Platone è il riferimento costante dello spettacolo, la più evidente delle colte citazioni che punteggiano e puntellano un testo denso ma reso scorrevole sulla scena. Riflettendo sul Simposio le parole misurate e coinvolgenti di questa piéce riescono a rappresentare in modo spontaneo e poetico l’incanto di chi ha imparato ad amare la fame, la malattie e i limiti della propria condizione.

E proprio sul tema del Limite e del suo superamento in quanto condizione necessaria all’atto d’arte si concentra la ricerca teatrale di Giuseppe Carullo e Cristina Minasi, intenzionati ora a parlare tramite una parabola dei nostri tempi della consapevolezza dello stare e del generare il bello, come tutti noi facciamo ogni giorno senza neanche rendercene conto.
Questo tentativo può dirsi senza dubbio un successo che si sa destreggiare tra il dolce e lo stucchevole senza scadervi quasi mai – forse solo nel finale, quando la rappresentazione del matrimonio tra i due protagonisti prende una piega più sul patetico che sul catartico. In ogni caso il risultato complessivo, intenso, intimo ed emozionante, rende facile perdonare questa piccola svista.

Giulio Bellotto