Day: 5 dicembre 2014

R…esistere. 13 buoni motivi per rinunciare al suicidio

A 30 metri dal suolo, un “cornicione”. Una parola di nastro adesivo che campeggia sul palco del Teatro Ringhiera mentre il pubblico entra in sale per l’ottavo concorrente di quest’edizione del Play Festival.
Buio in sala, in un clima assurdo e surreale due ragazzi si incontrano. Proprio nel momento in cui hanno deciso di farla finita buttandosi dal cornicione di nastro su cui poggiano saldamente i piedi, tutto viene rimesso in discussione. Attraverso l’incontro con l’altro e il dialogo che scaturisce in questa situazione lontana dalla vuotezza e dalla formalità degli scambi quotidiani, nasce la possibilità di cambiare sguardo sulla realtà; almeno nelle parole e nelle intenzioni il mondo viene riscritto dalla poesia di due giovani aspiranti suicidi appollaiati sul cornicione di un palazzo come piccioni incapaci di spiccare il volo.

Il soggetto, che prende le mosse da una situazione verosimile ma finisce per accostarsi ai maestri del teatro dell’assurdo, viene portato in scena dall’associazione If Prana con coscienza ed un evidente entusiasmo.
La piéce che ne risulta è intelligente, graffiante e riesce a rendere con una riflessione intensa e pregnante i limiti – ma anche i punti di forza – del giovane nella società di oggi.
Al di là della semplice definizione di “generazione disagio”, la rappresentazione racconta attraverso i due personaggi due modi diversi e complementari di affrontare un generalizzato mal di vivere e per questo merita senza dubbio di essere approfondita per migliorarne alcune carenza tecniche.
Lo spettacolo, debuttato nel 2013 e per questo – ci sembra – ancora allo stato embrionale, ha sicuramente delle grandi potenzialità; non resta quindi che fare i migliori auguri a Matteo Romoli e Caterina Simonelli, interpreti e regia, e rassicurarli sul lavoro fatto fin ora.

Giulio Bellotto

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Cantare all’amore

La compagnia la Ballata dei Lenna, formatasi di recente presso l’Accademia Nico Pepe di Udine, presenta a Play Festival una riflessione sul tema dell’amore moderno, analizzato con occhio cinico e senza troppe pretese di profondità.  In scena due tipi di affettività: da una parte il matrimonio della sorella bella con un non meglio specificato politico si poggia sull’avvenenza e sull’arrivismo che giustifica ogni comportamento in ragione di un mondo spietato in cui si sopravvive solo grazie all’aspetto fisico. Dall’altra invece l’amore della sorella brutta “senza speranze” per il sarto fallito “che ha perso ogni speranza” vuole essere senza tempo e senza contesto, ma viene minato dal cinismo della sorella bella.

I dialoghi non particolarmente ricercati e intensi utilizzano volutamente luoghi comuni che raccontino la superficialità delle relazioni e della società: il matrimonio di convenienza, la suocera stronza, le canzoni di Ramazzotti e Baglioni, il calcio e l’amore cieco.
Al di là della trama la caratterizzazione dei personaggi è piuttosto interessante, seppur nella loro stereotipizzazione, la loro comicità tragica e il loro cinismo disperato – a tratti esasperato – è convincente e coinvolge.

La scenografia risulta efficace sopratutto per quanto riguarda le luci che delimitano lo spazio di vita dove agiscono i personaggi; l’ambientazione viene così a ricordare vagamente l’atmosfera di un film di Wes Anderson, naif e agrodolce.

Valentina Villa