Un’ora di silenzio in grado di divertire e far riflettere. In questo sta la forza dello spettacolo del Collectif faim de loup presentato in seconda serata ieri a Play Festival, una rappresentazione brillante ma leggera sul difficile tema della migrazione e dei migranti.
La compagnia belga racconta l’epopea di due donne: costrette ad abbandonare la propria casa, racchiudono la propria esistenza in due bauli che diventano gli elementi scenici fondamentali intorno a cui si sviluppa la partitura fisica delle attrici, allieve diligenti sebbene non innovatrici del metodo Lecoq.
Tuttavia l’assenza della parola pesa sulla messa in scena che, pur avvalendosi di un disegno luci ed una colonna sonora molto efficaci e forse fin troppo complesse, non riesce a sopperire alla mancanza di pathos insita nella propria impostazione circense e cabarettistica.
Lo spettacolo rimane comunque interessante poiché, oltre a strappare un sorriso o una risata su temi tradizionalmente affrontati in maniera seriosa e superficiale, introduce alcuni elementi originali nella regia – ottimamente sfruttato l’espediente di un finto finale – e nella scenografia, a partire dai bauli che ne costituiscono l’ossatura.
Giulio Bellotto